I primi 500 anni del genio italiano che ha innovato il mondo intero

I primi 500 anni del genio italiano che ha innovato il mondo intero

Mai artista fu tanto analizzato, vivisezionato, stigmatizzato quanto Leonardo da Vinci: simbolo pop, scomodo modello psicanalitico (Sigmund Freud ci fece una sonora gaffe), esoterico quanto basta, investigatore da romanzo, oggetto da bancarella, finanche «armamento strategico» del marketing nazionale. Già, perché, quando si parla di Francia, Monna Lisa, con la Tour Eiffel e il foie gras, ha un ruolo determinante nell'immaginario collettivo del soft power della Grandeur. Non a caso «Aridatece la Gioconda» è diventato anche un tormentone calcistico di rivalsa mondiale, malgrado l'opera non fosse stata (almeno quella) trafugata dal nostro territorio, ma regolarmente venduta dal suo autore al re di Francia Francesco I d'Orleans per 4mila scudi d'oro. Leonardo era un «artistar» sui generis, dotato di una capacità di farsi pagare di gran lunga superiore ai suoi colleghi di ogni tempo. È noto come riuscì a «scucire» 8 lire per un progetto irrealizzabile del tiburio del Duomo di Milano che consegnò inutilmente dopo 2 anni. Ma Leonardo non si discuteva e non si discute. Sapeva gestire la propria immagine pubblica ed era un ottimo manager di se stesso. Quando invia a trent'anni una «lettera d'impiego» a Ludovico il Moro - ora alla Biblioteca Ambrosiana di Milano - con perizia da personal branding sintetizza in dodici punti le sue peculiarità insistendo abilmente su artiglierie di ogni sorta - mortai, bombarde a ripetizione, carri armati, navi corazzate - che avrebbero solleticato l'interesse belligerante del Duca di Milano più delle sue doti d'artista. Ovviamente, non dimentica di sottolineare di essere il migliore, ma accetta umilmente un periodo di prova. Infine a chiosa con vera perizia fa scivolare le sue capacità artistiche e offre di realizzare un cavallo di bronzo a «gloria immortale e eterno onore della felice memoria del signore vostro padre e della casa sforzesca»... Rimase al servizio del Duca per diciotto anni. È facile pensare che a Leonardo non sarebbe per nulla dispiaciuto tutto questo interesse poliedrico su di lui, siccome amava essere amato sarebbe stato lusingato di tanto protagonismo.

Leonardo sembra essere nato per stupire. Lo si nota dai suoi autografi che presentano una figura schietta, febbrile, esaltata, maniacale, fantasiosa, carica di sbalzi d'umore. Ma sono proprio le sue particolarità a renderlo unico, contemporaneo ed umano. Il modo con cui viveva ogni sua diversità - figlio illegittimo, omosessuale, vegetariano, mancino, con deficit di attenzione, occasionalmente eretico, insaziabile curioso, sperimentatore, ribelle di talento è la scintilla della sua unicità che lo ha condotto a pensare in modo diverso e a fare di tale pensiero il futuro.

Possediamo solo tre resoconti della sua vita con notizie di prima mano. Se ne occupò Giorgio Vasari, che avendo otto anni quando l'artista morì, si basò su resoconti ottenuti da persone che lo avevano conosciuto. Fece di Leonardo il protagonista di quello che (per primo) chiamò «rinascimento», descrivendolo in termini smaccatamente entusiasti, fintanto esagerati. Tra pettegolezzi, ricami, pure invenzioni e alcuni errori Vasari ci lasciò un ritratto tra fantasia e realtà che nel 1568 vide le stampe in una biografia che rimarrà di riferimento per i 500 anni a venire. Dettagli sulla vita di Leonardo emergono nel Cinquecento anche in altri testi: dall'Anonimo Gaddiano, da Giovan Paolo Lomazzo, dai resoconti del mercante fiorentino Antonio Billi e del medico Paolo Giovio. Tutti concordano parlando di lui come di un uomo di bell'aspetto e grazia seducente, notevole forza fisica, eleganza nel portamento, uso a indossare abiti sgargianti con particolare amore per le tuniche rosa corte al ginocchio; capace nell'eloquio, dolce e gentile nei modi, umile, estremamente curioso e affascinato dalla natura e dal corpo umano. Oltre ai preziosi taccuini vergati dallo stesso Leonardo, ricamati di geniali digressioni e fugaci pensieri, questo è quanto rimane a descrivercene la personalità. Il resto si può solo immaginare attraverso le sue opere. Tanto è bastato per fare di lui oggetto di dibattito infinito, leggenda e perfino mistero.

La prima nota sul suo nome è registrata all'ultima pagina di un quaderno notarile di suo nonno Antonio da Vinci: «1452: nacque un mio nipote, figliolo di ser Piero mio figliolo a dì 15 aprile in sabato a ore 3 di notte. Ebbe nome Lionardo» (il libro notarile sarà esposto alla mostra al Castello dei Conti Guidi di Vinci dal 15 aprile). Piero all'epoca ventiquattrenne era un noto notaio a Firenze e si era invaghito di Caterina Lippi, una ragazza di sedici anni forse al servizio del ricco banchiere ser Vanni di Niccolò. Certo il censo non permetteva un'unione e, forse, Piero era già fidanzato con Albiera, figlia del notaio Giovanni Amadori, che sposò prima della nascita di Leonardo. Fatto sta che Caterina venne fatta maritare con Antonio di Piero del Vaccha e partorì in una casetta mezzadrile in pietra grigia sulla strada verso Anchiano tra gli ulivi alle pendici del Montalbano, oggi sede del museo. Battezzato a Vinci la domenica seguente nella chiesa di Santa Croce (la fonte battesimale è la stessa ancora oggi), il suo nome risulta nel censimento fiscale del 1457 a carico del nonno Antonio come nipote illegittimo. Lo storico Jacob Burckhardt definì il rinascimento italiano «l'età d'oro dei bastardi». Il fatto non rappresentava un gran problema per le classi abbienti e, peraltro, Leonardo si trovava in compagnia di nomi prestigiosi della cultura, come Boccaccio e Leon Battista Alberti. Lo status d'illegittimità, infatti, poneva in una condizione di ambiguità permanente: liberando dai doveri di casta e permettendone i vantaggi di risulta, offriva licenza ad esprimere creatività in un'epoca in cui la creatività era premiata.

Per fortuna di Leonardo la gilda dei notai non accettava figli nati fuori dal matrimonio, così, condotto dal padre a Firenze ed essendo poco incline agli studi (si definiva «homo sanza lettere»), venne introdotto nella bottega di Andrea del Verrocchio. Nella vie della città si respirava arte e tecnica ad ogni cantone, con 84 intagliatori di legno, 83 produttori di seta, 30 maestri pittori, 44 orafi e gioiellieri. Era un centro di vivace attività bancaria e il fiorino, noto per la purezza del suo oro, era la moneta di scambio preferita in Europa. Quasi un terzo della popolazione sapeva leggere e scrivere e, su 40mila abitanti, i 5mila membri delle corporazioni costituivano una classe media prospera, amante della bellezza e dell'arte. Cosimo de Medici gestiva nella sua banca le più importanti fortune delle casate del continente e innovava la contabilità introducendo l'uso della partita doppia. Di fatto divenne sovrano di Firenze senza possedere alcuna carica né titolo ereditario e rendendola culla dell'Umanesimo. Spettacoli e sacre rappresentazioni per i Medici erano un'attività costante che coinvolgeva tutte le botteghe fiorentine tra arte e ingegneria: una vera gioia per Leonardo, amante dei costumi, delle macchine teatrali e degli effetti speciali, campo a cui si dedicò con passione nei suoi anni alla corte milanese. Dopo la lunga esperienza spumeggiante e internazionale alla corte sforzesca, Leonardo iniziò un vagabondare professionale al servizio di città e mecenati: Mantova, Venezia, Firenze, alla corte di Cesare Borgia e del duca Valentino, poi nuovamente a Milano e a Roma. Nel 1517 partì per la Francia, alloggiando presso il re Francesco con il titolo di «premier peintre, architecte, et mecanicien du roi» e una pensione di 5.000 scudi annui. Morì alla residenza di Clos Lucé del Castello di Amboise il 2 maggio 1519 a soli 67 anni. Per 500 anni non ha mai smesso di far parlare di sé.

Fino ad arrivare a questo anniversario in cui l'Europa, ancora una volta grazie a Leonardo, si interroga sulla radici della sua arte e della sua bellezza.

Per certo attraverso il caso di Leonardo non può reggere il criticato assioma che «con la cultura non si mangia». Lo studio presentato tempo fa dall'Enit in previsione dell'attuale centenario aveva stimato, grazie al potere di attrazione del nome, una base potenziale annua di incoming turistico di oltre 6 milioni di arrivi e una spesa turistica di oltre un miliardo e mezzo. Certo una cifra di tutto rilievo che porterebbe a un incremento del turismo estero del 10%, ma non così impossibile.

Non c'è dubbio che Leonardo costituisca un brand poco utilizzato dal nostro Paese in confronto all'esperienza francese, e non si può certo considerare una scelta azzardata quella del sottosegretario ai Beni culturali Lucia Borgonzoni di non privare i nostri musei dei capolavori leonardiani in occasione delle celebrazioni. In termini di numeri e fruizione, anche l'idea di scartare un'unica grande mostra potrebbe risultare vincente. «Il nuovo turismo lento, unendo aspetti esperienziali che spaziano dall'arte, all'enogastronomia, al paesaggio e all'artigianato - afferma Borgonzoni è calzante con l'offerta culturale del nostro territorio e si aggancia perfettamente al modello francese delle celebrazioni. Realizzare un'esperienza diffusa sul territorio offre molti vantaggi e diversificazioni in termini di offerta. L'Italia è un museo diffuso per eccellenza».

Il palinsesto di eventi del Comitato nazionale per le celebrazioni dei 500 anni dalla morte di Leonardo presieduto da Paolo Galluzzi, direttore del Museo Galileo di Firenze, presto consultabile su un sito ad hoc, copre effettivamente tutta Italia con eventi per tutti. In primo luogo c'è il piccolo borgo di Vinci poi ovviamente Firenze, Milano e Roma ma anche piccoli comuni e associazioni che offriranno il loro apporto per celebrare il genio italiano con convegni, mostre, fotografia, pubblicazioni, spettacoli, paesaggio, scienza. Sarà una narrazione diffusa combinata con svariate offerte territoriali che aumenteranno l'appetibilità e l'interesse di percorsi e luoghi poco noti.

Il dubbio se si potesse programmare meglio questa importante occasione, però, rimane. Da un anno la Francia ha lanciato nel mondo il progetto «Viva Leonardò»: un tour presso gli operatori turistici in 11 paesi e tre continenti che ha promosso l'offerta turistica della valle della Loira e i suoi 500 eventi. Non vi è dubbio che l'organizzazione promozionale e d'immagine dei comprensori culturali francesi viva di una storia che il nostro Paese non è riuscito per innumerevoli ragioni a realizzare. Getteremo la spugna?

«Intanto Leonardo rimane tale e non Leonardò anche se è un merito francese averlo in qualche modo reinventato nel marketing. La scelta di far restare in Italia i capolavori di Leonardo richiesti dal Louvre afferma il Sottosegretario - non è nata d'impulso - per altro verrà concessa in prestito a Parigi la Scapigliata di Parma - anche perché un vero accordo non c'è mai stato, solo scambi di mail, e molte opere sono fragili e non prestabili. Si deve leggere questa scelta come una volontà di cambiare la visione sulla programmazione e sulla gestione integrata tra beni culturali e turismo che oggi include esperienze enogastronomiche e paesaggistiche, particolarmente richieste dai fruitori stranieri che propendono sempre più alla realizzazione di personali percorsi d'arte. La collaborazione in tal senso con il ministro del Made in Italy Gian Marco Centinaio è massima. Non esiste la necessità di riappropriarci di Leonardo, peraltro inalienabile, o di farne un casus belli, ma di dare dignità internazionale alla capacità italiana di promuovere la propria cultura, partendo anche dall'ampliamento di accessibilità e offerta di cultura. A tal proposito invieremo a Vinci, per la mostra Le origini del genio al Castello dei Conti Guidi, il disegno conosciuto di Leonardo Paesaggio con fiume datato 5 agosto 1473, proprio per promuovere la territorialità dei nostri capolavori. Senza Vinci non ci sarebbe stato Leonardo». Alla Fondazione Rossana & Carlo Pedretti di Vinci sarà esposta anche l'altra opera degli anni giovanili: la piastrella che raffigurerebbe un ritratto di Leonardo nei panni dell'Arcangelo Gabriele 1471.

I nostri artisti hanno e continuano a farlo contagiato la cultura internazionale.

La nostra lingua, la nostra arte, la nostra musica, sono diventati sinonimo di bellezza. La prossima sfida di Leonardo sarà importante come banco di prova del coinvolgimento territoriale in previsione del prossimo grande anniversario di Raffaello. Sarà nel 2020. C'è margine di miglioramento.

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