Jackie Kennedy non fu più la stessa dopo quel drammatico 22 novembre 1963 a Dallas. Mentre i suoi occhi diventavano involontari testimoni di un evento che avrebbe scritto una pagina tragica della Storia americana e internazionale, la sua mente subiva un altro trauma, altrettanto devastante: sopravvivere a quei momenti, ricordarli per tutta la vita, scoprire di essere impotente di fronte al destino. Una sofferenza che si tradusse in uno shock post traumatico da stress che la costringeva ad acquistare compulsivamente ciò che desiderava. Su questo aspetto si è malignato molto, ma fermiamoci un momento a pensare: Jackie viveva una favola, come ci ricorda Elle, nella sua “Camelot” incantata che altro non era se non la Casa Bianca. La sua esistenza accanto all’uomo più potente del mondo non era rose e fiori, ma quale lo è davvero?
Inaspettatamente l’incanto si spezzò. Forse Jackie non sentì nemmeno i colpi di fucile sparati in direzione della limousine Lincoln su cui viaggiava con il marito. Riuscì solo a vedere il suo tailleur rosa che si macchiava di sangue e il presidente colpito a morte. Istintivamente si lanciò all’indietro, cercando la protezione delle guardie del corpo del corteo presidenziale. La sua Camelot era finita in quel momento, ma lei non se ne rese conto subito. Se la Storia si fermò in quei minuti, la storia di Jackie dovette proseguire. Proprio su quei giorni di lutto e di presa di coscienza si basa il film “Jackie”, (2016), interpretato da Natalie Portman e che verrà trasmesso in prima visione e in prima serata il prossimo 25 luglio su Rai3. Il film inizia con le parole della signora Kennedy a cui viene chiesto di ricordare, in un’intervista, quel 22 novembre.
Jackie si lascia trasportare dai sentimenti di una serie di ricordi da cui non riesce e non vuole staccarsi. Per lei raccontare non è liberatorio, ma equivale a rivivere la concitazione e il dolore di quei giorni. La sua memoria, come giustamente evidenzia Elle, è un caleidoscopio in cui gli eventi si avvicinano fino a confondersi, per poi esplodere in mille frammenti di emozioni. Davanti a noi non c’è più l’icona glamour, la leggenda della moda, la editor che adora i libri e sa scovare perle rare da portare al successo. C’è, invece, una donna terribilmente sola, che dovrà trovare un senso nell’assurdo. Jackie rammenta in modo sconnesso un passato che le è stato rubato e i punti di vista si sdoppiano, si allontanano, divergono, per poi riunirsi. A lei tocca assistere al giuramento del nuovo presidente Lyndon Johnson, nell’ufficio dell’Air Force One, con il capo chino, lo sguardo perso e il vestito ancora macchiato di sangue. Si rende davvero conto di ciò che sta accadendo? Forse non del tutto. Alla fine arriva il momento di togliere quel tailleur che è già entrato nella Storia e scontrarsi con una realtà durissima.
Una delle scene più intense di questo film, che è valso un Golden Globe a Natalie Portman, è proprio quella in cui Jackie si prova freneticamente tutti i vestiti del suo guardaroba, consapevole che tra poche ore dovrà lasciare la Casa Bianca. La ormai ex First Lady si aggrappa a quegli abiti che ancora rappresentano il suo status appena perduto e le ricordano una vita che non vuole lasciare, un futuro che non sa concepire. In quella nevrotica sfilata solitaria c’è tutta la rabbia e la disperazione di Jackie che vuole essere ancora la First Lady, anche se per una notte soltanto, perché si sente ancora tale e le piace esserlo. “Jackie”, diretto da Pablo Larraìn, è anche il ritratto di un’America non così diversa da quella di oggi. Cambiata in apparenza, non ancora del tutto in profondità.
Un Paese in cui una First Lady è ancora un simbolo di eleganza che si tende a privare di consistenza. Si rinnova l’antico insegnamento contenuto ne “Il Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa: “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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