In concorso a Cannes 75 Les Amandiers, quarto lungometraggio di Valeria Bruni Tedeschi, ha portato una ventata di giovinezza al festival. L’attrice convertitasi da tempo alla regia, affiancata dalle sue fidate co-sceneggiatrici (Noémie Lvovsky e Agnès De Sacy) e dall’ex compagno, già suo attore feticcio (Louis Garrel), rinuncia stavolta a dirigere se stessa e realizza il suo film della maturità artistica.
Bruni Tedeschi era già stata qui in gara con un altro titolo che la vedeva dietro la macchina da presa e anch’esso di matrice parzialmente autobiografica, “Un castello in Italia”, ma non c’è paragone in termini di qualità e di direzione degli attori. Qui la consapevolezza del mezzo cinematografico appare finalmente fulgida.
Il film è ambientato a Parigi nel 1986, vale a dire nel periodo in cui Bruni Tedeschi frequentava la scuola di teatro Amandiers, a Nanterre, diretta in quel periodo da Patrice Chéreau (Louis Garrel). L’istantanea del ricordo passa attraverso la disamina di amicizie, amori, gioie, insicurezze e tragedie di un gruppo di ragazzi con la passione per la recitazione e il teatro. Si tratta dei dodici prescelti per mettere in scena un testo giovanile di Cechov, Platonov. Tra loro spiccano Stella (Nadia Tereszkiewicz), sensuale e iperemotiva, impegnata a nascondere agli altri di essere una piccola ereditiera, ed Etienne (Sofiane Bennacer), tormentato eroinomane e bel tenebroso con cui la ragazza imbastisce la più tossica delle relazioni. Tra i loro compagni più cari ci sono poi Franck, diciannovenne senza un soldo e con moglie incinta e la rossa Adele che sa di essere un’attrice nata e va fiera della propria spudoratezza gioiosa.
Sono tutti ventenni belli, egocentrici e problematici che hanno nella personalità contraddittoria forse proprio l’ingrediente più utile ad abbracciare la carriera d’attore. “Les Amandiers“ è una cavalcata nella loro folle spontaneità, nei loro stati d’animo altalenanti e quasi sempre estremi, nonché nei loro malsani passatempi abituali. Sospesi tra il sacro fuoco della recitazione, il sesso libero e l’angoscia per l'Aids, questi fanciulli in fiore fanno quasi un vezzo della propria mancanza di equilibrio. Decisamente non una gioventù esemplare, ma dalla vitalità ipnotizzante. Il film è piuttosto realistico e coinvolgente nel rappresentare la frenesia di chi voglia godersi appieno la giovinezza senza calcolare i rischi di tanta cieca fiducia nella vita. Non c’è ombra di giudizio nei confronti di figure dall’energia ora speciale ora malsana, bensì di affettuosa tenerezza.
Per tali protagonisti vivere significa prendersi il palcoscenico e li osserviamo mentre le prove teatrali si intrecciano al loro privato.
“Les Amandiers“ esplora l’importanza e la difficoltà del gesto recitativo. Il corso al centro del film tiene gli studenti alla larga da sterili accademismi e loda la sperimentazione. Tra una divertente trasferta al leggendario Actors Studio di New York e il quotidiano allenamento a personificare vari stati fisici ed emotivi, gli aspiranti attori sono supervisionati da un insegnante dispotico ma anche capace di grande ironia, un Garrel magnetico come non mai. Non meno bravo il più defilato Micha Lescot nei panni del direttore della scuola.
Nell’economia del racconto, i divertenti provini dell’incipit servono a dare una prima caratterizzazione ai protagonisti. Non a caso Etienne, figura che diventa sempre più cupa nel corso del film, presenta in sede d’ammissione il monologo di un suicida.
“Les Amandiers“ è un’opera personale e graffiante, con un cambiamento di toni continuo e un andamento narrativo volontariamente eccentrico e nervoso. Quanto alle musiche, si fa un uso diegetico di alcune canzoni, su tutte di “Le chanteur” di Daniel Balavoine cantata a squarciagola in un’auto in corsa verso la tragedia.
La regista non si lascia mai andare alla nostalgia di un passato che non può essere percepito come tale, dal momento che la messa in scena è focalizzata su di un presente vitalissimo, pieno di esperienze iniziatiche.
“Les Amandiers“ restituisce l’atmosfera di un’epoca ma soprattutto di un’età in cui tutto è totalizzante eppure effimero.
Valeria Bruni Tedeschi non confeziona solo un trascinante atto d’amore verso la scuola e il maestro che la formarono ma anche un omaggio al mestiere di attore.In definitiva, un film che regala un viaggio vibrante, al contempo divertente e tragico, proprio come la vita.
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