Non lancerà un nuovo divo canoro. Non cercherà di scoprire la prossima popstar. E, per quanto singolare appaia, è soprattutto la crudezza dei tempi a spiegare il senso riposto di The Voice Senior: «Non un talent. Ma la celebrazione della generazione che più di ogni altra ha pagato il suo tributo al Covid spiega Antonella Clerici (da stasera su Raiuno alla guida della versione over 60 del celebre show vocale) Quando me l'hanno presentato in questa chiave, ho detto subito: lo faccio. È bello occuparsi di chi vive la seconda parte della sua esistenza. Tanto più in un'epoca in cui questo può voler dire molte cose».
Ecco dunque nei panni di grintosi rockettari, o suadenti melodici, interpreti giunti alla bella età di...
«Sessanta il più giovane, 84 il più maturo. Tutti accomunati da un'unica passione, ugualmente insoddisfatta: il canto. Costretti dalla vita a mettere il loro talento in un cassetto, ad interrompere un sogno, o a rinunciarvi, oggi non hanno niente da perdere, né da conquistare. Salgono sul palco con serenità. Non è la tentazione di emergere, a spingerli. Ma una rivincita sul passato. O un ritorno alla giovinezza. Senza amarezze, però, senza acrimonie: solo con la gioia di mettere piede per una volta - sul grande palcoscenico di Raiuno».
Per questo lei dice che The Voice Senior non è un talent?
«Certo. I nostri concorrenti non li chiamo talenti ma cantanti. Nel senso che anche qui la musica sarà il centro di tutto, e ad occuparsene saranno i nostri giudici: Al Bano con la figlia Jasmine, Loredana Bertè, Gigi D'Alessio, Clementino; ma attorno ci saranno le loro storie di vita: fatalmente ricche di esperienze, di emozioni. E quelle sarò io, a farle emergere. Quale mi ha colpito di più? Quella di un plurisessantenne colpito dal Covid durante il primo lockdown. Ce l'ha fatta. Ora The Voice Senior sarà la sua rivalsa».
Da dove vengono? Chi sono? E cosa ci guadagneranno?
«Vengono da tutta Italia. C'è il capotreno che canta durante i turni di riposo; l'anonima casalinga che gorgheggia per i nipoti o la quieta maestra che, quando si esibisce, si trasforma in una panterona. Tutta gente arrivata alle soglie della notorietà, poi sbarrata da qualche altro nome magari divenuto famoso, o che si è accontentata di esibirsi nelle feste di piazza, nelle balere, nei piano-bar. Arrivavano scortati dai loro supporter: nipoti, vicini di casa, coniugi o ex. Non a caso non c'è un premio in denaro. Il vincitore riceverà un vinile con le canzoni interpretate durante la gara. E verrà pubblicata la sua cover più votata».
Data l'età degli interpreti anche il repertorio è stagionato? O qualcuno si lancia in spericolati giovanilismi?
«Cantano soprattutto canzoni della loro generazione. Che però è quella del rock. Aspettatevi quindi rockettari sorprendenti; donne soprattutto, perché i maschi hanno puntato più sul melodico: grintose non solo nella vocalità, ma anche nel look. Un'altra cosa che mi ha molto stupito è la metamorfosi che li colpiva nel passaggio dal racconto della loro vita, dove prevaleva l'emozione, alla grinta sfoderata appena messo piede sul palco. Come il dottor Jekyll e mister Hyde: nessun imbarazzo, niente timori reverenziali. Neppure davanti ai giurati. Con i quali, anzi, si lanceranno in duetti a sorpresa».
Un ricordo di Diego Armando Maradona, che nel 2007 ospitò a Il Treno dei desideri.
«Mi ha sempre affascinato il suo essere il centro della squadra.
Con lui tutti gli altri, pur grandissimi, diventavano fatalmente comprimari. Sapevo quant'è amato in Argentina. Ma non mi sarei aspettata di vedere per lui scene di idolatria simili a quelle che seguirono la morte di Evita Peron».
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