"Il mio segreto a 80 anni? Non smettere di crederci"

Il premio Oscar (classe 1937) parla del nuovo film «Attacco al potere 2»: «Faccio politica solo sul set. Nella vita non ci penserei neanche»

Morgan Freeman in una foto posata scattata a Los Angeles
Morgan Freeman in una foto posata scattata a Los Angeles

Il mondo occidentale torna a tremare. Dopo essere riusciti a sventare l'attacco Nord Coreano alla Casa Bianca in Attacco al Potere, gli Stati Uniti devono fare ancora una volta i conti con il terrorismo internazionale. Nel sequel del film che aveva sbancato i botteghini nel 2013, il richiamo alla drammatica attualità degli attentati di matrice islamica non poteva che essere più evidente. Siamo a Londra e il Primo Ministro inglese muore in circostanze misteriose. Il suo funerale è un evento al quale tutti i leader dell'Occidente non possono mancare. Dovrebbe essere l'evento più protetto al mondo e invece si rivela essere un complotto feroce e letale per eliminare i capi di Stato più potenti del Pianeta. Le sorti del mondo occidentale sono nelle mani di tre uomini: il presidente degli Stati Uniti Benjamin Asher (Aaron Eckhart), il suo fidato capo dei servizi segreti Mike Banning (Gerard Butler) e il vicepresidente Usa Allan Trumbull, interpretato dal leggendario Morgan Freeman, che dalla sala ovale della Casa Bianca dirige le operazioni in modo impeccabile. In Attacco al Potere 2, con il Presidente Usa disperso, tocca a lui infatti prendere le decisioni più importanti. Un ruolo che gli calza a pennello. D'altronde Freeman il ruolo di leader c'è l'ha nel sangue. E' stato il Presidente che ha fatto i conti con il devastante schianto di una stella cometa sulla Terra in Deep Impact, ha interpretato Nelson Mandela in grado placare le tensioni razziali in un momento cruciale della storia mondiale in Invictus L'Invincibile ed è stato persino il Creatore in Una Settimana da Dio. Premio Oscar nel 2005 per Million Dollar Baby come Miglior attore non protagonista e nominato altre quattro volte agli Academy Awards, Freeman è una leggenda del grande schermo, sulla scena da più di cinquant'anni a questa parte, visto che la sua prima pellicola, L'Uomo del Banco dei Pegni, risale al 1964. E domenica scorsa è stato lui, sul palco del Dolby Theatre, ad annunciare al mondo intero il trionfo de Il caso Spotlight come Miglior film dell'anno.

Cosa vuol dire interpretare il Vicepresidente degli Stati Uniti? «Non è molto diverso dall'interpretare il Presidente, come ho fatto in Deep Impact ad esempio. Non voglio sembrare troppo modesto, ma sta tutto nell'imparare le battute e ricordarsele, non ci sono molti altri segreti in questo lavoro. La vera fatica è quella che fa lo sceneggiatore».

Ha mai pensato di entrare in politica? «Assolutamente no e non ho alcuna intenzione di farlo. Nelle mie vene non scorre nemmeno un po' di sangue politico. Meglio dedicarsi ad altro».

Guardando il film, la mente corre subito agli attentati di Parigi. Cosa pensa dell'Isis? «Quello che pensano tutti: siamo in una situazione terribile e dobbiamo trovare al più presto il modo per uscirne».

Gerard Butler è il vero protagonista della pellicola. Ci parli del capo dei servizi segreti Mike Banning. «È come se fosse la reincarnazione di John McClane, quel personaggio interpretato da Bruce Willis nella saga di Die Hard. Banning è quel tipo di ragazzo che è supereroe ma senza avere alcun tipo di talento straordinario. L'unica sua abilità è quella di riuscire a sopravvivere».

La sua è una carriera costellata da straordinari successi. Qual è il ruolo alla quale è più legato? «Tutti quelli che ho interpretato. In realtà è una domanda molto difficile per un attore, perché ogni volta si cerca di dare il massimo per rendere al meglio il personaggio che ti viene assegnato. Ma se proprio devo dire un nome, allora penso a Ellis Boyd Red Redding de Le Ali della Libertà. Il 90% delle persone crede che quella sia stata la mia migliore interpretazione di sempre».

Qual è il miglior consiglio che darebbe a un giovane che, come ha fatto lei, vuole inseguire il proprio sogno? «Gliene darei due, che ho sentito pronunciare anni fa da Vince Lombardi, l'ex coach della squadra di football dei Green Bay Packers.

Diceva: L'unico posto dove la fama viene prima del lavoro, è il dizionario. E l'unico modo di fallire in qualsiasi ambito della vita, è quello di rinunciare. Quindi consiglierei di tenere duro e non mollare mai, anche se inizialmente gli ostacoli possono sembrare insuperabili».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica