Non c'è libertà senza amore Parola di Percy Shelley

Arriva in libreria il "Meridiano" con le liriche del grande poeta che ruppe tutte le convenzioni sociali

Non c'è libertà senza amore Parola di Percy Shelley

Il lettore che voglia accostarsi alla figura di Shelley e alla complessità del suo mondo poetico, trova oggi uno strumento ottimale nel nuovo Meridiano curato da Francesco Rognoni (Percy Bysshe Shelley, Opere poetiche, Mondadori, pagg. 1614, euro 80) con una buona traduzione, apparati snelli e completi, e uno sguardo d'insieme veramente onnicomprensivo.

Ma perché un lettore di oggi dovrebbe ancora interessarsi a un autore di cui fra quattro anni cadrà il bicentenario della morte? Ebbene, ci sono tante ragioni, e la lettura di questo Meridiano aiuta a capirle. Shelley è un poeta che ambisce rivolgersi non al pubblico del suo tempo o semplicemente a se stesso, ma all'umanità intera. Il critico scozzese che gli rimproverò «la passione di riformare il mondo», si vide il rimprovero cambiato di segno e restituito al mittente. Se i poeti sono i «non riconosciuti legislatori del mondo», come Shelley scrive nella sua Difesa della Poesia, loro compito è pronunciarsi, lottare, legiferare, inascoltati, è vero, ma testimoni invincibili dei propri ideali. È vero, dialoga fittamente con l'amico Lord Byron, da cui lo divide il carattere e a cui l'accomuna l'esilio italiano, dedica alla morte di John Keats il poema Adonais. E ha continui riferimenti a Eschilo, Dante, Shakespeare, Milton, Calderon, Goethe. Ma si capisce subito che le esigenze di Shelley, giovane coltissimo e letteratissimo, non stanno rinchiuse nel confine della letteratura.

Il Novecento, formalista e modernista, non lo ha amato per questo. Quando cominciai a tradurlo alla fine degli anni Settanta, il mio gesto fu visto, come spesso mi accade, come la provocazione di un nemico del proprio tempo. Per riportare Shelley sulla scena occorreva credere nella pienezza della figura del poeta: uomo di linguaggio, certo, ma anche di ideali, di sogni, di utopie, di battaglie combattute in nome dello spirito. «L'amore è oggi l'universo». Il primo degli ideali di Shelley è tutto racchiuso in questo verso. Non c'è odio, risentimento, discordia, dolore, potere, che abbia l'energia fondante, cosmica, dell'amore. Ci imbattiamo subito nell'Inno alla Bellezza Intellettuale, con le sue astrazioni filosofiche, e in un sonetto misterioso e potente come Ozymandias sul tema del tempo e della rovina di qualunque potere, anche quello del Re dei Re, il Faraone d'Egitto. E poi per tutte le pagine del volume troviamo poesie d'amore, La filosofia dell'amore, il Canto della fanciulla indiana, quelle per Mary, la moglie, Oh Mary, cara, se tu fossi qui, e più tardi quelle per Jane, la moglie dell'amico Williams, A Jane, l'invito, A Jane, il ricordo, i Versi scritti nel golfo di Lerici.

La filosofia dell'amore di Shelley scardina il sentimento dal possesso. La sua vita personale è un garbuglio inestricabile di passioni, divorzi, suicidi, innamoramenti, visioni, fughe, sino all'oscuro epilogo del suo naufragio al largo di Viareggio e al suo funerale pagano, con Byron che versa vino e sale sul cadavere che arde. Il suo Prometeo Liberato, che ha la portata spirituale di un libro sacro, uno degli ultimi dell'umanità, è la sintesi della sua visione del mondo che trascende ogni dato personale e, lasciando sullo sfondo la tragedia eschilea, diventa una complessa, fiorita, aerea parabola del rapporto tra il Potere e l'Amore, con i protagonisti principali, Prometeo e Asia, che si cercano e uniscono in una rapsodica sintesi cosmica, e con il personaggio di Demogorgone che pronuncia alla fine il verdetto su cosa significa essere «buoni, grandi e generosi, belli e liberi», su cosa siano davvero in questa nuova prospettiva «Vita, Gioia, Dominio, Vittoria».

Oltre alle grandi opere liriche e drammatiche, il Meridiano riporta anche i testi che Shelley chiamava «essoterici», quelli dove non compare tanto il mito quanto l'attualità bruciante dei suoi tempi, in cui il poeta lotta per ogni libertà e in nome di ogni oppresso. Dopo il massacro detto di Peterloo, a Manchester, in cui milizie governative attaccarono innocenti disarmati e ne fecero strage, Shelley scrisse quella Mascherata dell'Anarchia, in versi rimati e tambureggianti di protesta, di rabbia, di incitazione alla rivolta: «Come leoni dal sonno levatevi, /invincibili legioni voi siete molti loro sono pochi-». Vi si legge una lunga risposta alla domanda «Che cos'è la libertà?» da meditare ancora oggi. Libertà per il lavoratore è pane, vestiti, fuoco, cibo, per tutti è Giustizia, Saggezza, Pace, Amore. Scienza, Poesia, Pensiero sono le tre «lucerne» della libertà, che è Spirito, Pazienza, Gentilezza, tutto ciò che «adorna e benedice». L'invettiva pura domina invece nella poesia intitolata A Sidmouth e Castlereagh, in cui i due ministri conservatori vengono additati al pubblico ludibrio come famelici corvi, gufi, squali, avvoltoi, scorpioni, lupi emaciati, cornacchie, vipere.

Ma il ribelle che resta vivo oggi è il

sognatore, l'utopista, il cantore attraverso il mito della liberazione dell'uomo dalle catene, il visionario che chiude la sua opera con Il trionfo della vita, quello rimasto fedele all'idea che «l'amore è oggi l'universo».

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