Ma per fortuna li riconosci subito. I Red Hot Chili Peppers tornano dopo appena sei mesi dal precedente disco (oh, c'è ancora gente che fa dischi su dischi) e bastano i primi secondi dell'iniziale Tippa my tongue per entrare in quel flusso di rock, funky, basso, batteria e visioni che da quarant'anni è il loro marchio di fabbrica.
Benvenuto a Return of the dream canteen, diciassette canzoni che escono dalla stessa «mensa» che ha prodotto anche quelle di Unlimited love, peraltro sbarcato in testa alle classifiche di mezzo mondo come una delle poche ancore di salvezza nell'oceano urban. Questi scassati sessantenni vantano più tentativi di imitazione della Settimana Enigmistica, specialmente dopo l'uscita di Blood Sugar Sex Magic nel 1991, eppure il loro suono è come un famoso brand di moda. Puoi provare a imitare Valentino o Yves Saint Laurent ma è semplicemente impossibile avere lo stesso fascino unico.
C'è però qualcosa che fa la differenza in questa band (o brand): è il chitarrista John Frusciante. Quando c'è lui, i Peppers sono in perfetto equilibrio tra rock e funk, compattezza e virtuosismo, tradizione e meta-tradizione che poi sta per rilettura della tradizione musicale a modo proprio. Stavolta c'è. Frusciante è uno che riesce a dare profondità diverse e anche a brani tutto sommato di routine come Peace and love. E diventa inarrestabile, del tutto imprevedibile e soprattutto totalmente, meravigliosamente vintage come nei fraseggi di Handful a metà tra Ritchie Blackmore e i figli dei fiori. «Due doppi album pubblicati uno di seguito all'altro. Il secondo è significativo quanto il primo, o forse il contrario. Return of the Dream Canteen è tutto ciò che siamo e che abbiamo sempre sognato di essere» hanno spiegato i Peppers che sono di nuovo in tour perché in fondo, anche dopo quarant'anni di successi, droga, devastazioni e soldi, loro restano quella roba lì, una band che fa dischi e poi li suona dal vivo. Certo, qui in Return of the dream canteen forse c'è meno rock duro, più ballate, più sogni e meno rabbia. Anthony Kiedis è la solita sfinge alla voce, non stupisce, non emoziona ma è perfetto davanti al basso di un espressionista come Flea e alla batteria di Chad Smith che potrebbe star bene sul palco di Neil Young o degli Iron Maiden tanto è focalizzata sul rock spigoloso, per niente sexy, totalmente frontale.
In poche parole Return of the dream canteen è un signor disco per signore e signori.
Gli interessa non deludere i fan coetanei piuttosto che conquistarne di nuovi, tanto loro manco sanno a chi sia dedicato il brano Eddie, ossia Eddie Van Halen, il maestro del finger tapping che ha cambiato la chitarra rock. E basta ascoltare qui cosa combina John Frusciante. Lo omaggia senza copiarlo. Favoloso (e persino commovente).
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