Dietro un grande uomo c'è sempre una grande donna, ma vale pure il contrario. Com'è evidente nel caso di Mark Boal, quarantenne sceneggiatore da Oscar che vive e lavora in simbiosi con la sessantunenne regista Kathryn Bigelow, prima donna a vincere il premio Oscar come migliore regista, nel 2010, proprio con un drammatico film sulla guerra in Iraq, tra sminatori e artificieri, scritto dall'aitante newyorchese laureato in Filosofia, nonché abile giornalista investigativo: The Hurt Locker. Ma è Zero Dark Thirty il lavoro più noto di Boal in tandem con la Bigelow, quest'anno entrambi travolti da un tornado d'inchieste al Senato, stampa antipatizzante e pubblico spaccato, soprattutto a proposito delle disturbanti scene di tortura contenute nel film più controverso dell'ultimo decennio: raccontare in due ore dieci anni di caccia a Bin Laden, grazie alle informazioni della Cia, non è stata una passeggiata. All'occasione, Zero Dark Thirty, appena uscito in dvd e blu-ray per la Universal, fu pure umiliato agli Oscar: un solo riconoscimento per il miglior montaggio sonoro e tanti saluti al duo creativo più rispettato e indipendente di Hollywood. Insomma una grande carriera segnata ultimamente da molte polemiche che all'apparenza non ha motivi: «E ancora non trovo risposte soddisfacenti. Il mio film non aveva un'agenda politica, ma sono stato accusato di avere la Cia dietro. Mostrare le scene di tortura, poi, non vuol dire condividere certi metodi. Zero Dark Thirty non è nato per dividere, ma per far riflettere». In tanti anni, essendo pure un giornalista che ha attraversato i più grandi teatri di guerra, Marc Boal ha senza dubbio accumulato fonti prestigiose e credibili: «Mi sono documentato a lungo su Bin Laden, dovendo inoltre cambiare in corso d'opera la sceneggiatura, quando è stato individuato: sul raid, all'epoca, non si sapeva molto. Ignoravo quali unità fossero coinvolte e mi lambiccavo il cervello a cercar di ricordare se potevo conoscere qualcuno che conoscesse qualcuno... Trattandosi di informazioni sensibili, ho studiato soprattutto i documenti digitali che potevo ottenere con la Freedom of Information Act. All'interno della Cia, si sa, non entrano apparecchi elettronici e scrivere tutto a mano, beh, non era semplicemente fattibile. Nessun mistero, nessun trucco, quindi. A dispetto del Judicial Watch, che ha accusato me e Kathryn d'aver avuto accesso illegale alle informazioni».
A proposito, chissà quali sono gli elementi sui quali lui e la Bigelow, che è anche sua partner, hanno discusso più a lungo: «Sulla battaglia di Tora Bora e sull'azione militare che c'era dietro. Io non sono mai stato a Tora Bora, sicché, nel descriverla, mi sono sentito come Edgar Rice Burroghs, che ha scritto tutti quei libri su Tarzan, senza aver mai messo piede in Africa».
La scrittura di Boal è molto sintetica, assai giornalistica, precisa e circostanziata: «Scrivo al computer, nei più diversi posti del mondo. Poiché le mie ricerche mi portano a viaggiare un po' ovunque, mi ritrovo a scrivere sugli aerei, nelle caffetterie, nel mio ufficio». E nel suo modo di scrivere c'è anche un preciso senso della suspense. Ad esempio, in Zero Dark Thirty Bin Laden non si vede, ma è una presenza costante. «I ranghi militari americani gli hanno dato la caccia come a Moby Dick e così nel film lo spettatore avverte l'oppressione di questa presenza, che non si vede. Ho pensato, appunto, a una sorta di gigantesca balena di cui tutti parlano, ma che nessuno ha avvistato materialmente».
Ecco, vedete, ci sono precisi riferimenti letterari.
Chissà quali sono quelli cinematografici: «Quando scrivo, non ho in testa dei titoli, ma delle atmosfere. In particolare, quelle degli anni Settanta, con il cinema di genere di Alan Pakula, o di Sidney Lumet. Dovendo citare qualcuno,mi viene in mente Martin Scorsese di Taxi Driver».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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