"Recito John Dickens il padre di Charles che inventò il Natale"

In uscita il film sulla vita del grande scrittore che da piccolo fu "rovinato" dal pessimo genitore

"Recito John Dickens il padre di Charles che inventò il Natale"

Sangue di ferro e cuore di ghiaccio. È così che John Dickens, padre di Charles, autore celeberrimo di Oliver Twist, esorta il figlio dodicenne a rimanere impassibile, mentre la polizia lo porta nella prigione di Marshalea, in quanto debitore fraudolento. Altro che gentleman: babbo Dickens è un genitore privo di scrupoli, al quale non importa se Charles, rimasto solo e privo di mezzi, verrà costretto dalla fame a incollare etichette sui barattoli di lucido da scarpe alla Warren's Blacking Factory. Bambino miserabile tra gli altri bambini miserabili dell'Ottocento industriale dedito allo sfruttamento. Come narra, assai bene, Dickens. L'uomo che inventò il Natale (dal 21, con Notorius Pictures), interessante film di Bharat Nalluri, che racconta la vita straordinaria dello scrittore vittoriano (impersonato da Dan Stevens) al momento della creazione della favola natalizia per eccellenza, Canto di Natale, dove campeggia la figura di Ebenezer Scrooge, sinonimo di avarizia, qui il premio Oscar Christopher Plummer.

Nel ruolo di papà Dickens c'è il 65enne Jonathan Pryce, attore gallese di cinema e teatro (è una star del Globe Theatre di Londra), premiato e apprezzato a livello internazionale: da Evita di Alan Parker, dov'era il dittatore argentino Juan Peron, affiancato da Madonna, a Pirati dei Caraibi, sullo schermo la sua maschera intensa è subito riconoscibile. Sposato con la collega Kate Fahy, che gli ha dato tre figli, Pryce ama definirsi un «family man». Dal suo studio londinese, il versatile artista, che tiene insieme Re Lear e Il Trono di Spade (fa l'Alto Passero), racconta al Giornale del film e di se stesso. Evento raro, perché Pryce è molto riservato.

La parte di John Dickens l'ha fatta pensare a suo padre?

«Certamente. Mio padre Isaac è morto in seguito a una rapina. Prima faceva il minatore, poi aveva aperto una drogheria a Holywell, nel Galles. E' lì che sono cresciuto, insieme alle mie due sorelle. Un giorno, un rapinatore entrò in negozio, dove qualche volta lo aiutavo, e gli dette una martellata in testa. Riuscì a sopravvivere e, quando andai a trovarlo in ospedale, sembrava stesse bene. A parte un enorme taglio sulla testa. Poi, per due anni ebbe un infarto dietro l'altro, non riusciva a parlare. Finché morì. Recitavo a New York, quando ricevetti un telegramma... non riuscii ad andare al suo funerale. Mio padre, però, era un buono».

Il padre di Dickens, nel film, sembra più un cialtrone che un perfido. Lei come lo vede?

«È il classico tipo che naviga tra due mari: da una parte è un gaudente, che trascura la famiglia per correre dietro al gioco e alle scommesse; dall'altra, è un genitore pentito, che sa perfettamente quanto sia mancato nella vita del figlio. Uno che arriva a rovistare nella spazzatura del figlio, ormai celebre, per scovare pezzetti di carta con la firma Charles Dickens, al fine di venderseli, certo, non è encomiabile».

Oggi i genitori sono amici dei figli: questo è un bene, o un male?

«Se penso a mia madre Margaret e a mio padre, che sono sempre venuti a vedermi in teatro, incoraggiandomi e consigliandomi, direi che è un bene. Loro erano miei amici. In ogni caso, consiglio ai giovani di avere un buon rapporto con i propri genitori, finché sono in vita».

E' stato un padre assente, quando ha girato Brazil con Terry Gilliam e ha interpretato il Governatore Swann nei tre film sui Pirati, ai Caraibi?

«Con i Pirati, dovevo rimanere sul set due-tre settimane e ogni mese tornavo a casa. Il periodo più lungo in cui sono mancato da casa sarà durato sei mesi, al massimo. Quando ho girato Dark Blood nel deserto dello Yutah con River Phoenix, nel 1993».

C'è un elemento di modernità, in Dickens?

«Anche se

è vissuto più di un secolo fa, Dickens mi è familiare. La fatica che ha fatto per scrivere i suoi libri e per far campare la sua famiglia è la stessa che serve oggi, per mandare a buon fine qualunque cosa. Anche un film».

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