Tra Ronconi e Bellocchio, all'inizio, per ritrovarsi tra affini. Tra sé e sé, ora, alla ribalta d'un pubblico multimediale, che ama cinema e teatro, tv e presenza scenica sua. Filippo Gili (nella foto) romano classe '66, é una forza della natura. Inquieta, però: un'occhiata alle sue punte di diamante teatrali e cinematografiche conferma un fertile tormento, affinato dalla disciplina didattica, con seminari su Hedda Gabler, all'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica, e su Cechov, al CIAPA di Gisella Burinato.
Ma è il Teatro Argot di Roma il perno su cui gira l'attività di un artista che ha scelto i percorsi meno agevoli per raccontare impossibili guarigioni dell'anima, oltre che del corpo. Nella gettonata enclave quirite, lo troviamo alla regia di A porte chiuse, il dramma più noto di Jean-Paul Sartre, tra i massimi esponenti dell'esistenzialismo europeo. «Voglio ragionare sulla condizione isolata dell'individuo e del suo animo, tenendo teso il rapporto con l'Altro da sé», spiega Gili, che nel cast mette anche Piergiorgio Bellocchio, figlio del noto regista Marco. E I pugni in tasca di quest'ultimo entrano in un pezzo forte ricorrente nella costellazione artistica di Gili, al quale Bellocchio senior ispira una drammaturgia euripidea tra le più urticanti, l'Oreste, contaminata con la rabbia contemporanea del film bellocchiano. Stiamo parlando della famiglia e delle sue dinamiche: è questo il nucleo fiammeggiante delle intenzioni d'arte di Filippo, che viene da una solida famiglia borghese, promoter delle sue inclinazioni, subito divenute mestiere.
In Prima di andar via, piéce teatrale apprezzata al Festival di Montpellier (all'Argot, 12 febbraio-3 marzo), un gruppo familiare espone le sue patologie. «È la storia d'un suicidio annunciato, tra scatti improvvisi e temi universali: la vita, la morte», spiega Gili, autore del testo, che pure interpreta. «La famiglia esce con le ossa rotte, mentre il protagonista reclama il diritto a uscir di scena. La vita va digerita, dice, mentre in una notte decide di farla finita».
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