Rovazzi è un "Vegetale" onestissimo e bio. Che semina e raccoglie

Nel film di Nunziante la star del web distribuisce volantini: "I giovani hanno ereditato il nulla"

Rovazzi è un "Vegetale" onestissimo e bio. Che semina e raccoglie

Dimenticare Zalone. E surrogarlo con Fabio Rovazzi, idolo musicale dei piccini che l'hanno adorato su YouTube (340 milioni di visualizzazioni) per Andiamo a comandare e altri tormentoni. È quanto prova a fare Gennaro Nunziante, regista in tandem con Checco sbancabotteghini finché Luca Medici, in arte Checco Zalone, ha sciolto la coppia per diventare regista e presentarsi in sala l'anno prossimo, in splendida solitudine. Ognuno a casa sua e tana liberi tutti.

Così Il vegetale (dal 18), film riflessivo su un neolaureato senza lavoro (Rovazzi al suo esordio cinematografico), Nunziante se l'è scritto e diretto, per arrivare al cuore del pubblico con una storia semplice semplice, interpretata anche da attori solidi come Luca Zingaretti e Ninni Bruschetta e da una bambina molto brava, Rosy Franzese. Non c'è una parolaccia, in questo racconto ambientato nella Milano d'oggi, tra i grattacieli di lusso dove il protagonista Fabio, laureato in Scienza della Comunicazione, si aggira distribuendo volantini. E li distribuisce fino all'ultimo, coerente con la sua onestà. Invano l'amico pugliese che divide casa con lui lo invita a buttare via tutto. No, no: il giovane andrà fino in fondo. È disposto a farsi imbrogliare, accettando anche di raccogliere pomodori insieme a un manipolo di sfruttatissimi neri, ovviamente simpatici e pronti a sorridere, quando lui chiede loro se faranno lo stesso stage suo fra i campi... La fame di lavoro è tanta e anche la sua beata ingenuità.

Poi c'è un padre mascalzoncello (Bruschetta), che va rieducato: mentre papà è in ospedale, Fabio gli liquida l'azienda e lo denuncia per abusi edilizi. Altro che inceneritore: tutti licenziati, a partire dalle segretarie carine. Nel campo agricolo, requisito dalle forze dell'ordine, andranno i cavolfiori, coltivati come bio comanda. Perché Fabio sarà pure un vegetale (così lo chiama il padre, riferendosi alla sua passività), però coltiva un pensiero verde, che gli darà finalmente stabilità, quattrini e persino una fidanzata. Se non sapessimo che Nunziante è un abile confezionatore di blockbuster - non a caso questa è una co-produzione Walt Disney Company - penseremmo che ha scritto il film ispirandosi a Grillo&Company. «Noi grandi, e parlo di me, che ho 54 anni, di solito giriamo film sulla nostra generazione. Mi piaceva, invece, raccontare la meravigliosa generazione dei ventenni, ai quali lasciamo il nulla in eredità. Non possiamo pretendere che in questo Paese ci sia una schiarita totale, ma almeno qui il protagonista prova a cambiare le piccole cose. Veniamo da generazioni che hanno vegetato a spese dello Stato. Il tema vegano, il biologico, lo sfruttamento della terra... Mi piaceva comunicare in modo gentile, con garbo», spiega Nunziante, orbo di Zalone e sicuro della «new entry» Rovazzi, classe '94 e primo interprete d'un film senza il suo sodale storico.

E siccome l'assenza è più acuta presenza, il regista chiarisce e sopisce. «Nel 2009 ero amico di Luca (Medici, ndr). Ora siamo fratelli: è diverso. Sui giornali leggo cose inventate, ma lui resta mio fratello per sempre. Tra noi rimane una fratellanza totale, per tutta la vita. Se ha visto il mio film? Mi ha detto che, siccome lui non c'è, fa cagare», dice Nunziante, un po' mesto mentre si prende sul serio e cita Utopie minimaliste di Luigi Zoja. E il cinema italiano alle corde? «Nessuna identità, senza sperimentazione. La commedia, in Italia, sta morendo: non c'è ricambio generazionale, si è vegetato sullo Stato», conclude. Rovazzi, che alza il tiro col cinema, sa che le star del web non sempre funzionano sullo schermo. «La nostra generazione ha ereditato il nulla: l'altra generazione mirava a fottere il prossimo. La mia generazione è spaesata, tra social network e precarietà. Ma occorre prendere posizione: dopo disegni a matita, meglio disegni a china. L'importante è che non s'interrompa la fiducia tra me e il mio pubblico», medita il cantante, amico di Fedez.

Occhio alla feroce parodia che, di se stessa, fa Barbara D'Urso in chiave Disney, starring la cinica conduttrice tv: «Carmelita» si conferma pop, dicendo al povero «vegetale», col davantino arancione da distributore di volantini: «Io, da questa pettorina mi aspettavo qualcosa di più!». Niente caso umano, niente show.

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