Mogol: "Con Sanremo e Lucio in mezzo secolo ho cambiato l'italiano"

L'autore (76 anni) racconta la sua carriera lunghissima: "Ho usato parole insolite che ora sono nel nostro vocabolario"

Mogol: "Con Sanremo e Lucio in mezzo secolo ho cambiato l'italiano"

Lui sì, parla spedito come un treno, la voce sottile, i pensieri senza bussola, un po' qui e un po' là. È l'autore di parole che abbiamo parlato tutti. Lui sì, lui Mogol s'intende, ha tutti i motivi per festeggiare 50 anni di carriera con tante risalite in classifica e poche, pochissime discese ardite nell'insuccesso. Lo farà lunedì sera in pompa magna, insieme con Lavezzi e altri, al Teatro Nazionale di Milano con lo spettacolo I capolavori di Mogol. Lo fa pure con un volumetto di aforismi (Le ciliegie e le amarene, edizioni Minerva) che si legge d'un fiato. E lo fa ricordando. Il problema, in fondo, è come ricordare mezzo secolo senza farne trascorrere un altro, tanto è difficile da riassumere.


Caro Mogol, ci vuole un filo conduttore, forse: quello che da Sanremo arriva all'opera passando per Battisti.


«Ho vinto il Festival con la seconda canzone che ho firmato, Al di là, scritta con il grandissimo Carlo Donida. Prese ottocentomila voti, un'enormità. Da allora ho iniziato a lavorare come un matto».


Poi Lucio Battisti.

«Dicevano finanziasse movimenti di estrema destra. Ma non abbiamo mai parlato di politica. Per me avrebbe potuto votare qualunque partito. Il nostro problema era che eravamo neutrali. E a quei tempi essere neutrali era peggio che essere terroristi».


Ci sono (troppe) poche celebrazioni di Lucio Battisti. Un paio di mesi fa è persino scoppiata la polemica sullo stato di degrado della sua tomba a Molteno.


«Da quello che mi hanno detto, mi dispiace profondamente che chi va a portare fiori o lettere sulla tomba di Lucio possa trovare difficoltà o sentirsi a disagio».

Ci sono anche brani inediti del vostro rapporto. Come Il paradiso non è qui.


«E' una delle più belle canzoni ma non si può pubblicare, la vedova ha anche proibito di eseguirla dal vivo. Credo che una canzone senza ascoltatori muoia da sola. E mi dispiace tantissimo».


La lingua di Mogol sta benone e si parla ancora oggi.


«Ho cercato parole inusuali che oggi sono nel nostro vocabolario. L'università Cà Foscari mi ha premiato con un riconoscimento che di solito va agli studiosi di italiano, non “a chi lo crea”, riferendosi a me. Così mi hanno detto».


Oggi l'italiano come sta?


«Si parlano tanti italiani diversi: il politichese, il burocratese, l'avvocatese e via dicendo. Ma l'italiano più vivo si parla in casa».
Molti dicono che i rapper siano i nuovi cantautori.


«Hanno una bella forza espressiva, questo è vero. Ma il rap è musica contro. Musica di negazione e di rivoluzione. Mi sembra più vicino al rock che al nostro cantautorato».


Un cantautore (Vecchioni) ha persino vinto il Festival di Sanremo, roba impensabile trent'anni fa.
«Sono d'accordo con la scelta di Fabio Fazio di “iscrivere” due canzoni per ciascun concorrente».


È un bel po' che non c'è un testo di Mogol in gara all'Ariston.


«Ho cinque brani secondo me giusti, scritti con Gianni Bella prima che stesse male. Uno, Fiore di luna, ha una ritmica straordinaria perfetta per uno come Jovanotti. E poi ce n'è un'altra, Magico autunno, che riesce a commuovere persino se la canto io, il che è tutto dire. È la storia di un uomo in un bosco da solo».


Molto Mogol. Magari piacerebbe a Celentano.


«Avrò sempre piacere di scrivere per lui. L'ho visto all'Arena di Verona, ha cantato bene, con misura. Il giorno dopo abbiamo pranzato e chiacchierato come al solito».


Si diceva che Celentano avrebbe invitato anche Beppe Grillo.


«Il personaggio del momento. Mi sembra buono il suo desiderio di cercare sul territorio persone per bene da candidare. Ma ho anche l'impressione che poi non le lasci agire. Non vuole farli andare in tv: una follia».


Mogol vuole andare a teatro. Con un'opera.


«Sì, La capinera. Tratta ovviamente dal romanzo del Verga. Musica di Gianni Bella, liriche mie, libretto di Giuseppe Fulcheri. Ci vogliono ottocentomila euro, stiamo concludendo gli accordi e nel 2013 dovrebbe mettersi in moto la macchina».


Giusto cinquant'anni dopo Uno per tutte, che aveva anche la sua firma e che Tony Renis fece vincere

al Festival.


«Ma non si è mica esaurita la mia vena creativa sa? Nella Capinera ho anche inventato un nuovo verbo: ruscellare. “L'amore che ruscella nel cuore”. Forte e limpido come un ruscello. Bello vero?».

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