Giovanni Terzi
Ho incontrato Marco Lodola pochi giorni dopo lo straordinario successo del suo allestimento per la scenografia del concerto di Andrea Bocelli a Lajatico.
Se non avesse fatto l'artista cosa avrebbe fatto?
«Sicuramente l'elettricista. L'idea di illuminare il mondo mi ha sempre interessato e il mio primo viaggio a Las Vegas nel 1978 ha rivelato alla mia coscienza quale fosse la mia missione. L'elettricista. Las Vegas l'ho letta come un museo a cielo aperto. Ma una parte di Las Vegas mi ha davvero emozionato quella a sud della città, dove sono ricoverate alcune insegne pubblicitarie non più utilizzate. Alcune erano ancora accese altre spente: lì ho visto l'arte».
Ma durante gli studi non ha mai avuto la visione di intraprendere la strada di artista?
«Ho fatto il liceo artistico e l'accademia e certamente qualche segnale della mia abilità si intravedeva».
Tipo?
«Facevo il cerchio migliore di tutti; quasi come Giotto».
C'è stato un momento OFF nella sua vita?
«Lavoravo per l'azienda di calzature di mio padre che nel 1982, anno bisestile, fallì. Quell'evento fece da spartiacque nella mia vita».
Fu da lì che intraprese la carriera da artista o ci fu qualcosa chele suggerì la tua strada?
«In realtà un oggetto ci fu: era un coniglio luminoso buttato in un angolo di una ditta in quanto rotto. Era un'insegna luminosa di un ristorante che si chiamava Rabbit; posso dire che un coniglio mi ha cambiato la vita: lo vidi con un'anima, mi emozionava perché era come un'opera fruibile da tutti.
Lei fa dell'arte a portata di tutti un imperativo linguistico?
«L'arte deve essere a portata di tutti, questo è essenziale. Non è un fatto di nozioni ma di emozioni e ognuno con la propria cultura ne dà la lettura che crede. L'arte è prima di tutto comunicazione».
Lei illumina le città con le sue opere, ha paura del buio?
«Sì.. Dormo con la luce accesa, forse perché proveniamo da un Universo buio e silenzioso e quindi mi lego alla luce e alla musica perché trasforma la mia paura di solitudine».
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