Spettacoli

PerugiaProviamo a seguire un giovane cultore del jazz, un neofita, che arrivi per la prima volta a Umbria Jazz. Proprio quella di quest’anno che risente della crisi economica generale. Il pubblico pare inferiore a quello del passato. Lo si nota camminando per la main street di Perugia, il corso Vannucci. Il nostro neofita assomiglia, per cultura e mentalità, ai cultori di lungo corso. Sa che c’è stata in principio, dal 1973 al 1978, un’altra Umbria Jazz itinerante e gratuita, sospesa «per troppo successo». E che i confronti si fanno oggi con la seconda Umbria Jazz risorta nel 1981, che è soltanto perugina. Quando approda nel centro storico, il neofita è colpito da una specie di rombo continuo: è la musica (i cattivi lo definiscono il rumore) dei concerti che si tengono all’aperto nei Giardini Carducci e nella storica piazza IV Novembre. Se poi l’arrivo avviene verso mezzogiorno o le sei del pomeriggio, al rombo si aggiungono le note allegre della Cool Bone Brass Band from New Orleans intenta a mimare il rito antico delle Street Parades.
Il neofita si provvede di un programma e si accorge che non può scegliere in base alle proprie esigenze. Il jazz-jazz, oggi, si fa nei teatri di Perugia, di preferenza al Morlacchi e a mezzanotte. Nello spazio maggiore, l’Arena Santa Giuliana, ci sono Mario Biondi e gli Incognito, la Notte della Taranta, una dose robusta e caciarona di Hip-Hop e Mark Kopfler, pregevole e applauditissimo da 4500 spettatori di tipologia old rock. Ma dopo quattro o cinque brani il neofita ha dato segni di stanchezza da déjà vu. Nei primi giorni lo hanno divertito i musicisti di strada, più tecnologici di un tempo. Ha assistito a un concerto stupendo, all’Oratorio Santa Cecilia, di Gabriele Mirabassi clarinetto e André Mehmari pianoforte. Sempre bravo e cangiante il trombettista Roy Hargrove che a Perugia ebbe la sua prima affermazione a sedici anni. Sorprendente la nuova Perugia Jazz Orchestra, tutta di giovani, diretta da Mario Raja con il sassofonista Pietro Tonolo solista ospite di assoluto livello internazionale. All’Arena il neofita ha apprezzato il bassista Marcus Miller in quintetto in Tutu Revisited, The Music of Miles Davis. Inoltre, ha riscosso grandi applausi il robusto jazz mainstream del pianista Cedar Walton e del vibrafonista Bobby Hutcherson in quartetto, due grandi che non tramontano.
Dieci giorni fitti di musica passano in fretta, e nella seconda trance arrivano i grossi calibri del jazz autentico anche all’Arena. Ecco il pianista Chick Corea in un quartetto smagliante con Kenny Garrett sax alto e soprano, Christian McBride contrabbasso e il veterano Roy Haynes. Il chitarrista Pat Metheny, che gli italiani amano più del resto del mondo, ha nostalgia del suo passato e quindi ricupera Lyle Mays tastiere, Steve Rodby basso e Antonio Sanchez batteria in luogo di Paul Wertico. Poi il sommo Sonny Rollins, che a ottant’anni sa ancora essere Saxophone Colossus e nasconde a 4000 spettatori adoranti che la voce possente del suo strumento non è più quella, ma può sembrare che lo sia ancora. Infine il pianista Herbie Hancock che non cessa di fare l’occhiolino agli appassionati del rock e la voce di Tony Bennett ancora valida a 84 anni.
C'è pure un grande pianista italiano da ascoltare al suo meglio, cioè come olista: Stefano Bollani. Fa musica fitta, complessa, con rare soluzioni di continuità. Ma quando si ferma cade nell’entertainement.

Dice che lo faceva anche Louis Armstrong: però quello era un altro jazz, un altro tempo, un altro luogo. Oggi il jazz gareggia con Gyorgy Ligeti e spesso gli interpreti sono gli stessi, Bollani compreso. Non è il caso di deconcentrare chi cerca di capire e blandire chi non capisce nulla e lancia gridolini di giubilo.

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