Storia degli otto giorni di guerra e follia dopo la morte di Hitler

Esercito allo sbando, suicidi di massa, popolo affamato. E i soliti esperti dell'arte di riciclarsi

Storia degli otto giorni di guerra e follia dopo la morte di Hitler

Primo Maggio del 1945, Berlino è ormai un cumulo di rovine e nel resto della Germania si combatte furiosamente. Tra le 21 e le 22 e 25 Radio Amburgo per tre volte trasmette un messaggio importante, introdotto da un surreale rullo di tamburi: «Il Quartier generale del Führer comunica che il nostro Führer Adolf Hitler è caduto per la Germania oggi pomeriggio al suo posto di comando della Reichskanlei, combattendo contro il bolscevismo sino all'ultimo respiro. Il 30 aprile il Führer ha nominato suo successore il grandammiraglio Dönitz».

Quella che la radio annunciava dal Nord del Paese, ancora sotto il controllo di quel che restava dell'apparato politico e statale del nazismo, era una mezza verità, abbellita per evitare il completo tracollo delle forze armate e della gente.

Come ormai tutti sappiamo, Hitler si era suicidato assieme ad Eva Braun il 30 aprile, dopo aver testardamente messo in piedi a Berlino la più inutile delle resistenze. Il 30 aprile, il colpo di pistola nel bunker, i corpi bruciati con la benzina nel cortile in fretta e furia - tra una scarica di artiglieria e l'altra - hanno ormai assunto un tale valore simbolico che, nella mente di tutti, la guerra si arresta lì. O al massimo al momento nella tarda serata del primo maggio, quando i sergenti dell'Armata rossa, Meliton Kantaria e Michail Egorov, sventolano la bandiera rossa della vittoria sul tetto del palazzo del Reichstag. Ma i combattimenti erano tutt'altro che finiti e anche le tragedie dei singoli così come i rivolgimenti politici. Lo storico tedesco Volker Ullrich li ha analizzati nel dettaglio nel suo volume ora tradotto per i tipi di Feltrinelli: 1945. Otto giorni a maggio. Dalla morte di Hitler alla fine del Terzo Reich (pagg. 332, euro 22).

Ullrich, specialista del nazismo e autore della più completa biografia di Hitler, racconta nel dettaglio quei giorni convulsi che, spesso, sono stati trattati come fossero un semplice cascame della morte del dittatore.

Eppure non lo furono. C'è il dramma di moltissimi tedeschi che, proprio in quel frangente, vedono bussare il destino alle porte della propria città. In taluni casi sono le più amichevoli mani delle potenze occidentali. In molti altri sono le molto meno amichevoli mani dei russi. Il tutto mentre le illusioni malate di un popolo si sgretolano. A Berlino, Goebbels, il primo maggio, cerca di trattare coi russi per metterli contro gli americani. Quando la trattativa fallisce, i russi vogliono la vittoria totale, si uccide con la moglie e i figli. Lo stesso giorno, senza essere informato di cosa succede a Berlino, Dönitz cerca di mettere sotto controllo il riottoso Himmler, il Reichsführer delle Ss, e si prepara a indirizzare tutte le resistenze verso l'avanzata russa per cercare l'accordo con gli angloamericani.

Contorsioni di una Nazione morente. E intanto la gente comune?

Ci sono i suicidi di massa. Nella cittadina di Demmin, a centinaia, le madri tedesche si gettano nel fiume con zaini pieni di pietre e i figli legati al corpo. Sono terrorizzate dai russi. Ma ci sono quelli che si uccidono perché dopo aver trascorso tutta la vita sotto il nazionalsocialismo semplicemente non riescono a pensare un mondo diverso: ci sono medici che annotano nel proprio diario che il medicinale più richiesto sono le capsule di cianuro. Eppure per molti tedeschi tutto si svolge in un clima di disperata apatia, dove contano solo le necessità vitali, lo sforzo di sopravvivere in un inferno di macerie. A Berlino la musicista Karla Höker è in un rifugio antiaereo isolato quando arriva con due giorni di ritardo la notizia della morte di Hitler: «Pare che il Führer sia morto... Ma questa è una bella notizia proclamò una donna, e la risposta fu una leggera risatina». Del resto l'interesse preminente in molti è trovare un cavallo ucciso durante i combattimenti per accaparrarsene dei pezzi. Ma attenzione, proprio in quegli stessi giorni di sbandamento c'è chi è più veloce degli altri a capire dove tira il vento. Forse perché lo era già anche prima. La diciannovenne Erika Assmus un tempo entusiasta capogruppo della hitleriana Lega delle ragazze tedesche chiosa così gli avvenimenti: «L'azienda è in bancarotta. Il fondatore se l'è data a gambe e l'ha abbandonata nei pasticci. Non erano queste le regole del gioco! Di colpo il dolore si trasforma in cinismo, la forma in cui si esprime chi è stato ingannato e non ha più speranza». Erika Assmus dopo la guerra, con lo pseudonimo di Carola Stern, diventerà una delle più importanti penne dei giornali di sinistra della Germania Occidentale.

Queste sono solo alcune delle storie che racconta Volker Ullrich in questo suo affresco, davvero potente, degli ultimi otto giorni del nazismo. Leggendolo si può capire molto della storia tedesca ed europea del Novecento. Perché in quel «tempo di nessuno» si è modellato il futuro di molti.

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