Della donna appassionata, con quei capelli corvini, il profilo altero e gli occhi lucidi di febbre, Luisa Ranieri ha il perfetto physique du role. E forse anche questo, oltre l'intensità del ruolo che l'attrice napoletana considera «forse il più amato della sua carriera», ha contato nel successo de La vita promessa. Torna dunque più appassionato che mai (dal 23 per tre domeniche su Raiuno, per la regia di Ricky Tognazzi) il grande affresco popolare sul mondo degli emigranti italiani, nell'America di Fiorello La Guardia e di Lucky Luciano, con la sua matriarca indomita, madre-padrona dei propri figli ma, in realtà, di tutti i numerosi personaggi che ruotano attorno alla sua energica, vibrante femminilità.
Carmela tiene ancora uniti i suoi figli (rimembranza viscontiana) «come le dita di una mano». Ma è cambiata, nel frattempo?
«Certo. Per questo ho accettato d'interpretarla ancora. Ad esempio il vivere in un paese socialmente avanzato, lei che è di una sicilianità arcaica e rurale, ha finito per integrarla nel tessuto sociale. Quindi emanciparla. Faticosamente impara a leggere e a scrivere, a guidare, a parlare inglese. Come può farlo una ex contadina come lei, naturalmente: ad esempio storpiando thank you in un ruspante denghiù».
Eppure, nonostante la sua forza attrattiva, Carmela è anche una donna contraddittoria.
«Come tutti i caratteri forti vive ogni cosa in eccesso. Sbagli compresi. Ad esempio vorrebbe tenere i figli sotto una campana di vetro, mai lasciarli liberi, perché ha investito tutto su di loro. Anche per questo non si concede neppure un amore: non ha il tempo (o il coraggio) di lasciarsi andare. Però una donna simile è capace anche di grandi slanci, di straordinaria generosità. Insomma: un personaggio a tutto tondo».
Come affronta un'attrice moderna le forti passioni di un melodramma quale La vita promessa? Trattenendosi o - al contrario - concedendosi alla passionalità espressiva?
«Un attore si lascia andare quando si sente insicuro: per coprire le falle della sceneggiatura. Ma qui il copione era già potente di suo. È bastato seguirlo senza aggiungere nulla, mirando solo alla verità. Tognazzi dice che il melodramma non ci ha fatto paura. C'era già tanto di quel materiale che io ho compiuto, semmai, un lavoro di sottrazione. Ho cercato di darmi tutta, ma con misura. Come cerco di fare sempre».
Quanto ha contato, per lei napoletana, la sicilianità del personaggio?
«Moltissimo. A parte le radici comuni, però, ho dovuto lavorare con Francesco Crivello per impossessarmi di un dialetto siciliano diverso da quello che di solito si sente in film o fiction (il catanese-palermitano) e che una volta si parlava nell'entroterra. È sempre divertente tradire la propria lingua: è un modo diverso di essere. E dire ad esempio tischitòsca, invece di presuntuoso, già dipinge tutto un mondo altro».
Presto lei interpreterà per Raifiction il commissario di polizia Lolita Lobosco, dai gialli di Gabriella Genisi. Un contraltare femminile al commissario Montalbano di suo marito, Luca Zingaretti?
«Solo una coincidenza. In realtà sono due investigatori diversi; in comune hanno solo lo sfondo del sud d'Italia (lì la Sicilia, qui Bari). Ma Montalbano vive in un contesto stilizzato; la mia Lolita sarà più moderna. E poi il suo commissario rimarrà nella storia della tv. Il mio ha ancora tutto, ma proprio tutto, da dimostrare».
A Sanremo il neo direttore di Raiuno, Stefano Coletta, ha parlato di un possibile varietà condotto in tandem proprio dalla vostra coppia.
«È un suo sogno, sì. Che mi onora. Solo Coletta, ad esempio, poteva farmi condurre Amore Criminale. E mai avrei immaginato di poter presentare Rock Politik. Nonostante tutto, però, io sono ancora convinta che condurre non sia il mio mestiere.
E poi e Luca già facciamo gli attori. Abbiamo faticato molto a tenere separate le rispettive carriere, e vogliamo continuare a farlo. Anche se l'esperienza m'insegna che mai si deve dire mai. E le cose giuste, se devono venire, alla fine vengono».
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