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Syd, il diamante pazzo dei Pink Floyd come non s'è mai visto

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Syd, il diamante pazzo dei Pink Floyd come non s'è mai visto

Il panorama musicale del rock piange dal 1972 la perdita di Syd Barrett. Ma a differenza di Jimi Hendrix o Janis Joplin, Syd Barrett non morì nel 1972, ma si ritirò completamente dalla musica per vivere come una sorta di recluso fino alla morte, che lo colse nel 2006 all'età di 60 anni.

Realizzai il film The Pink Floyd and Syd Barrett Story nel 2001, quando Syd era ancora vivo. La pellicola narra la sua spettacolare ascesa e il terribile declino attraverso interviste con (tra gli altri) i membri della band Roger Waters, David Gilmour, Nick Mason, Rick Wright e l'ex membro Bob Klose.

Essi raccontano che nel 1965-67 Syd Barrett fu a tutti gli effetti il motore creativo dei Pink Floyd. Scriveva i testi delle canzoni, era il cantante del gruppo, suonava la maggior parte degli assolo, era la chitarra solista.

Tuttavia, alla fine del decennio si era ormai autodistrutto. Nell'incessante ricerca di nuove esperienze psichedeliche, Barrett assumeva enormi quantità di Lsd, con conseguenze tragiche e devastanti. Nella seconda metà del 1967, durante la registrazione di A Saucerful of Secrets, divenne chiaro che Syd non era più in grado di suonare, e Gilmour fu invitato a entrare nei Pink Floyd come seconda chitarra e vocalist.

«Fu l'inizio di un periodo piuttosto strano e difficile per Syd e per me... Io dovevo imparare a eseguire le parti di Syd e a cantare le sue canzoni, mentre lui se ne stava lì e ogni tanto cantava e suonava un po'. Molto strano», ricorda David Gilmour. Tutto questo affrettò l'allontanamento di Syd dalla band, e con lui se ne andò anche il loro manager Peter Jenner. All'epoca, numerosi critici pensarono che quella fosse la fine dei Pink Floyd.

Dopo l'abbandono del gruppo nel 1968, Syd registrò come solista due album che documentano il suo inesorabile declino nella pazzia. Il primo s'intitola The Madcap Laughs, il secondo Barrett.

Se i Pink Floyd fossero scomparsi con lui, difficilmente il suo mito sarebbe sopravvissuto. Essi raggiunsero invece fama mondiale, ma la presenza di Syd perdurò nella loro musica e nei testi delle canzoni, in particolare Shine On You Crazy Diamond. «Quando canto Shine On... Syd è sempre là, ovviamente... la canzone riguarda solo lui... racconta come ho sperimentato la sua rovina... parla della passione, del grande desiderio che avevo allora e ho tuttora di celebrarlo, di ricordare il suo talento, la sua umanità, e di esprimere l'amore che provo per... per lui», dice Roger Waters.

Quando mi accinsi a realizzare il film nel 2001, il pubblico sapeva poco o nulla di questo retroscena. Mi sembrò che la ricchezza della musica dei Pink Floyd e i miti che circondavano la romantica figura del membro fondatore della band, Syd Barrett, e il suo tragico destino, costituissero terreno fertile per un regista.

Le domande alle quali speravo di trovare risposta erano: in che modo la musica era filtrata attraverso Barrett per diventare lo straordinario sound dei Pink Floyd? In che modo quella musica, o almeno l'industria discografica, aveva causato la caduta e l'espulsione di Barrett? In che modo quella stessa musica aveva continuato a evolversi nei Pink Floyd, ancora oggi una delle più famose band del mondo?

Ma perché il film avesse successo, dovevo innanzitutto mettermi in contatto con i singoli membri e, naturalmente, con Syd stesso, che nel 2001 viveva appartato nella natia Cambridge sotto l'occhio amorevole della sorella Rosemary.

Per cominciare, parlai con i familiari di Syd. Rosemary si rivelò molto cauta e protettiva. In passato, le foto scandalistiche del fratello pubblicate sui giornali li avevano feriti. Le spiegai che vedevo il documentario come una celebrazione dell'opera di Syd, ma anche come una storia umana degli effetti deleteri che l'abuso di droghe può produrre su una persona creativa e vulnerabile. Rosemary riconobbe che il film avrebbe potuto essere importante per il retaggio di Syd e accettò di sostenere il progetto dopo che io mi fui impegnato a non contattarlo di persona, perché riteneva che per lui sarebbe stato un trauma.

Le chiesi: «Hai qualche idea su ciò che spingeva Syd ad assumere quantità tanto elevate di Lsd?». Lei rispose che le sembrava ovvio: «I grandi quadri non sarebbero stati dipinti se non ci fosse stata gente disposta a sfidare le regole. Mio fratello non aveva il senso dei limiti. La maggior parte delle persone eviterebbe di percorrere quella strada, ma lui voleva capire ed era del tutto privo dell'istinto di sopravvivenza».

Dopo che ebbi ottenuto l'appoggio della famiglia di Syd al progetto, anche David Gilmour si offrì di contribuire accettando di essere intervistato. All'epoca, David e Roger Waters non si parlavano dal 1987. Roger si era rifiutato di partecipare a un precedente documentario della Bbc, ed era stato necessario usare come voce fuori campo una vecchia intervista radiofonica. Di sicuro io non intendevo seguire quella strada. Grazie al cielo, sembrava che a Roger e David importasse più di Syd che delle loro dispute personali, ed entrambi acconsentirono a farsi intervistare separatamente. Anche il batterista Nick Mason e il tastierista Richard Wright accettarono.

Mentre giravo la storia, Rosemary spiegò che ogni qualvolta veniva menzionato il nome Pink Floyd, Syd si agitava, quindi riteneva preferibile non parlargli della pellicola. Una volta terminato il film, le mandai una registrazione, dicendole che stava a lei scegliere se mostrargliela o no. Desideravo ardentemente che la guardasse, ma nello stesso tempo non volevo creare un problema. I familiari decisero che gliene avrebbero parlato dopo che fosse stata trasmessa in televisione per evitare ansia e pubblicità, e per quanto ne so non lo informarono minimamente della cosa. Il giorno successivo alla trasmissione Rosemary andò a casa sua, e Syd le disse: «C'era un programma su di me alla tv ieri sera. Era piuttosto buono, mi è piaciuto».

In particolare, gli aveva fatto piacere rivedere Mike Leonard, il suo ex padrone di casa, e riascoltare la canzone See Emily Play. Lei disse che il documentario gli aveva dato un grande conforto. Come potete immaginare, ne fui estremamente lieto e sollevato.

* Produttore e direttore del documentario The Pink Floyd and Syd Barrett Story

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