Tutti gli uomini del Papa Il Watergate della Chiesa

"Spotlight" di Tom McCarthy, sulla vicenda dei prelati pedofili convince per asciuttezza e fedeltà alla cronaca. Il regista: "A non essere più credibili sono proprio le notizie"

Tutti gli uomini del Papa Il Watergate della Chiesa

da Venezia

All'inizio degli anni Duemila, il Boston Globe , celebre e importante quotidiano cittadino, pubblica un'inchiesta che fa tremare la gerarchia locale e poi si allarga a macchia d'olio per la nazione. È una sorta di Watergate cattolico, abusi sessuali su minori da parte di preti, che costerà alle autorità religiose qualcosa come ottanta milioni di dollari di risarcimento, la chiusura di un certo numero di chieste per sopravvenuta mancanza di fedeli, l'intervento, a vario titolo, del Vaticano nella riduzione allo stato laicale o nella rimozione, di sacerdoti di diverso ordine e grado, compreso l'allontanamento di quel cardinale Law che per un ventennio e sino allo scandalo aveva retto la diocesi.

A guidare la squadra di reporter autrice dello scoop è Walter Robinson, redattore capo della sezione investigativa Spotlight, lo stesso giornalista che, negli anni Ottanta, da fresco capo della cronaca locale, aveva sottovalutato le prime denunce in materia, prestandogli lo sguardo svogliato di chi fra avvocati un po' bislacchi, testimoni un po' segnati, dall'alcol, dalla droga, dalla «devianza» sessuale, accuse comunque infamanti, è più naturalmente portato a credere alla innocenza, alla serietà e al magistero di un'istituzione che per la sua storia e la fede che professa è, naturaliter , dalla parte dei giusti. Allora, insomma, Robinson non volle vedere, ed è in fondo quello che la buona società bostoniana di cui fa parte gli fa rilevare quando la mette sul banco d'accusa. Solo che un conto è non aver saputo capire, un altro essere complici e/o far finta di non sapere.

Fuori concorso ieri a Venezia, Spotlight appartiene al miglior filone dei film americani che hanno la stampa per protagonista: è asciutto, senza retoriche né sbavature, non ha nulla della caricatura del giornalista che da noi imperversa nelle fiction televisive, al cinema, nelle redazioni. Basato appunto su una storia vera, ha il pregio di una sceneggiatura senza buchi e si affida al mestiere consumato di Michael Keaton (Walter Robinson), Stanley Tucci (l'avvocato che per anni aveva cercato di far esplodere lo scandalo), Mark Ruffalo (il cronista Michael Rezendes al quale venne affidata la parte legale dell'inchiesta). Per chi è del mestiere, è anche un tuffo in un'epoca che sembra lontana anni luce e invece è appena dietro l'angolo: l'importanza della stampa scritta e delle ricerche di archivio, il giornalismo fatto scarpinando e non stando dietro una scrivania, gli articoli frutto di tempo, passione, fatica.. «In dieci anni è cambiato tutto» dice il regista Tom McCarthy: «Oggi a non essere più credibili sono proprio le notizie, questa è la verità, ce n'è una overdose e sono senza controllo. È il frutto di un insieme di fattori: la concorrenza di internet e della televisione e la conseguente crisi della carta stampata, i tagli redazionali, il venir meno di quel giornalismo locale che una volta era uno strumento democratico fondamentale. È proprio la solidità e la credibilità del Boston Globe a permettere che quella terribile vicenda venga a galla».

Senza indulgere in moralismi e ricatti sentimentali, secondo Mark Ruffalo Spotlight racconta la storia «di una duplice violenza, fisica e spirituale. È un qualcosa cui non avevo mai pensato e che solo l'incontro con alcune delle vittime di quegli abusi mi ha fatto capire. Bambini traditi e che non possono più confidarsi, un clima di omertà, una sorta di diabolico crimine contro degli innocenti».

«Ho molta fiducia in Papa Francesco» interviene Stanley Tucci, «nella sua volontà di fare chiarezza». McCarthy è più pessimista: «Non mi aspetto nessuna reazione da parte delle gerarchie ecclesiastiche» dice. Per la cronaca l'arcivescovo Law ora è a Roma.

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