Neo-pop e surrealista, artista e filosofo, visionario e cronista, Elio Varuna, senza bisogno di alcuna netta definizione, porta con sé la dicotomia dell'Universo e la condensa in opere in cui lo stimolo esplorativo allontana la mente dalla mistica del soggetto. I suoi lavori sono habitat nati in sogno, spazi liquidi che si fanno seguire, che si fanno vivere, ma mai dominare da uno spettatore monosensoriale. Continui slittamenti dal reale all'irreale, creano un'armonia di atmosfere allegoriche, richiami ancestrali e misteri, che pur non svelandosi, divengono comprensibili, fagocitando emozioni.
La sua firma è il tentacolare Tuty, una sorta di Rebis alchemico che abita i paesaggi cosmici, un essere indistinto in cui gli opposti si uniscono come nella pietra filosofale. Il rosso, colore della vita, è la tonalità che lo contraddistingue, che lo identifica nelle sue metamorfosi, laddove incontra tazze, salami e simboli esoterici in ricorsi ossessivi. La realtà viene sezionata e poi ricostruita, come nel «solve et coagula», meccanismo creativo che mette in comunicazione le culture più antiche con il presente, con l'attualità. E sono proprio i fatti reali a essere presenti nelle opere dell'ultima personale «Elio e le Storie Fraintese», nate dall'indagine sulla complessità dell'epoca contemporanea. Una moltitudine di ritagli di giornale che fanno da sfondo o gridano in primo piano in una visione che diventa ictus.
Ciò che nasce in una dimensione onirica, delle prime luci dell'alba, si rivela fotogramma surreale del mondo attuale, con delitti, scandali, , guerre sante e demagogia. La poetica varuniana è figlia dell'istinto dell'artista, del gesto guidato dal sogno; tuttavia si ispira anche a Max Ernst - prima dadaista distruttivo poi surrealista ansioso della verità attraverso la fantasia - e alle fantasmagorie parossistiche di Salvator Dalì. Uno stile che non nasconde il debito con l' inventiva di Hieronymus Bosh e con i paesaggi del surrealista francese Yves Tanguy, senza perdere il richiamo preponderante alla vita.
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