Malgrado il tuo entusiasmo, quando parli di Brecht, io sento in te una certa amarezza quando ricordi quegli anni. Pensi forse di non essere stato compreso in Italia dagli intellettuali di sinistra e di destra?
«Sì. Perché il comportamento dell'intellighenzia e della critica nei riguardi di Brecht e del mio lavoro su Brecht ha toccato punte di malafede. I grandi maestri e i grandi rivoluzionari sono sempre la pietra di paragone per valutare quel fascismo sottile e perverso, che va ben oltre i limiti storici, perché si insinua, si inserisce nel cuore stesso della nostra società ben più in profondità di quanto non appaia. Il lavoro su Brecht è sempre stato frenato dalla destra, che denunciava il nostro teatro perché così facendo tradiva le regole dell'obiettività che un teatro pubblico deve avere, come perversamente marxista e comunista, e dalla sinistra cosa che secondo me è ancora più grave che stigmatizzava un teatro nel quale la vera lezione rivoluzionaria, edulcorata in un prodotto di consumo, era divenuta una moda, un ammiccamento. Sono molti quelli che, da sinistra, hanno criticato e criticano ancora i nostri spettacoli brechtiani perché sono dei prodotti borghesi che snaturano il messaggio di Brecht. E, purtuttavia, quelli che lui ha potuto vedere gli sembrarono esemplari: ci sono le sue lettere, le sue testimonianze... La malafede dell'intellighenzia di sinistra ha raggiunto il suo parossismo nel 1968, scatenandosi contro la miseria intellettuale di Brecht, contro il Piccolo e contro di me. È proprio in quegli anni che nacque Santa Giovanna dei macelli. E questo spettacolo ha suscitato delle critiche piene di fiele, addirittura oscene. La rappresentazione delle opere di Brecht, dunque, se non fu interrotta non fu però mai incoraggiata perché contestata un po' da tutti (...).
Che cosa ha fatto il Piccolo per gli autori contemporanei?
«Un teatro che non parla dei problemi contemporanei ai contemporanei può molto presto cadere nell'estetismo e nel formalismo. Certo è possibile parlare del nostro presente con le parole dei testi di ieri: la poesia e la verità sono senza tempo. Ma è certamente vero che un teatro non può veramente iscriversi nella problematica del suo tempo se non stimola e non adotta le opere del suo presente. Il teatro critico e poetico che si rivolge alle opere del passato, vicino o lontano, è talvolta una conquista culturale e un segno di debolezza. Noi viviamo questa sconvolgente contraddizione. Tutto il teatro contemporaneo vive questa aridità della produzione drammatica.
Sovente mi sono chiesto perché tutta questa teatralità che abbiamo creato, tutta questa ricerca sul teatro, con il teatro, non è riuscita a generare un teatro contemporaneo, degli autori, dei testi, allo stesso livello di quelli del passato. Si è così obbligati a riflettere su come oggi la rappresentazione sia più importante della scrittura, su come la storia del teatro, dopo Cechov e Pirandello, sia soprattutto una storia di spettacoli (...)».
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