Due medaglie d'oro e due lauree. «Perché nella mia vita ho sempre voluto dare tanta importanza allo studio e sono orgogliosa di avercela fatta». Parole di Giulia Terzi, 26enne nuotatrice, che non ha mai smesso di credere nei suoi sogni, neanche quando le era stata diagnosticata una scoliosi congenita all'età di cinque anni. Ora, grazie anche alle conquiste fuori dallo sport, questa bergamasca di Arzago d'Adda è diventata la nuova eroina del mondo paralimpico. Ai campionati italiani di vasca corta a Riccione, l'ultima impresa: un record del mondo nei 50 metri farfalla spazzato via dopo 12 anni.
Come ha vissuto la sua prima edizione dei Giochi?
«La realizzazione di un sogno. Da bambina volevo fare le Olimpiadi nella ginnastica, avevo anche scritto un tema, purtroppo il problema alla schiena me l'ha impedito. Pensavo che questo sogno sarebbe rimasto nel cassetto: l'ho rispolverato grazie alle Paralimpiadi».
Si aspettava di ottenere così tanti podi?
«No, anzi. Prima di partire dicevo a mia mamma: spero in una medaglia. Ne sono arrivate cinque, due ori (nei 100 metri stile libero e in staffetta, ndr), più due argenti e un bronzo. Ogni gara è stata un'emozione diversa, fortissima».
Il suo fidanzato, Stefano Raimondi, ne ha vinte 7. La coppia d'oro del nuoto azzurro...
«Stiamo insieme da un anno e mezzo. Lui nuota a Verona, io a Milano ma ci vediamo nei weekend».
Dopo il Giappone, la seconda laurea.
«Sì, la magistrale in giurisprudenza dopo quella in scienze politiche. Non è facile conciliare studio e allenamenti, ma un 110 e lode nell'anno delle Paralimpiadi mi rende fiera. Un atleta non può nuotare per sempre, serve un piano B».
In che modo ha reagito alla scoliosi congenita rara?
«Sono molto solare e vedo sempre il lato positivo. Bisogna essere pronti a superare gli ostacoli che la vita ti mette davanti, abbattendo i muri sempre con il sorriso».
Come è riuscita ad accettare il cambiamento?
«Devo ringraziare la mia famiglia: sono la mia ricchezza. Quando nel 2018 ho iniziato ad utilizzare la carrozzina, di questa cosa ne soffrivano. Ho pensato: se crollo io, crollano loro. Mi facevo forza per loro».
Cos'è per lei lo sport?
«È un mezzo fondamentale per conoscere se stessi. Ti mette alla prova, ti insegna cos'è il sacrificio. Ha sempre fatto parte della mia quotidianità e il nuoto mi fa sentire libera.
Alla Polha Varese, la mia seconda famiglia, ho trovato persone che hanno creduto in me, dandomi l'opportunità di entrare nel mondo paralimpico. Il nuoto mi ha dato delle emozioni che mi hanno permesso di restare a galla».
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