Addio all'eroe per caso di Italia '90

Il terzino dell'Inter dei record, quel rigore all'Argentina e le scarpe strette di Matthaus

Addio all'eroe per caso di Italia '90

Piangeva mentre la gente onorava la bara del kaiser. Era stato il suo Professore, Franz Beckenbauer, e Andy Brehme aveva il viso rigato di lacrime, teneva in mano tre rose rosse e camminava a fianco di Gunter Netzer verso il centro del campo dove riposava infine il re. La storia della Germania sembrava essersi conclusa con la scomparsa del suo campione, oggi il dolore accompagna gli uomini di calcio nel ricordo di quest'altro ragazzo biondo, per caso eroe decisivo della finale mondiale del 90. Il rigore sarebbe stata cosa di Lothar Matthaus, secondo ordini del cittì Franz, ma il capitano si era cambiato le scarpe durante l'intervallo e le nuove calzature gli andavano strette. C'era un perché, erano quelle che Lothar aveva prestato nello spogliatoio dello stadiolo di Nancy al capriccioso Maradona per la partita memorial di Michel Platini nel 1988. Diego era solito cambiare l'allacciatura delle stringhe, Matthaus strappò i lacci nel tentativo di stringerli e chiese a Brehme di calciare lui il rigore decisivo mentre Maradona, inconsapevole del retroscena, schiumava rabbia e parole contro Codesal Mendez, il ginecologo messicano arbitro della partita. Andy calciò di destro, forte e perfidamente, fu il gol che consegnò il titolo alla Germania. Una specie di riscatto per Brehme spesso schiacciato dalla gloria e dalla personalità di Matthaus e Klinsmann e, ovviamente del kaiser in panchina.

Se ne è andato, Andrea, improvvisamente all'età ancora giovane nella quale si sognano nuovi progetti. Avendo avuto la possibilità e il privilegio di conoscerlo fuori dal campo di football, Brehme era un ragazzo-uomo intelligente con le parole, capace di farsi ascoltare dopo aver imparato molte lezioni da gente importante e maestri illustri. La sua fama, paradossalmente, aveva lasciato il segno più oltre oceano che in Europa, al punto che il brasiliano Josè Carlos Nascimento, decise di chiamare il proprio figlio, adattandolo alla lingua brasilera, Gleison Bremer, in onore di quel campione che aveva finalmente battuto gli odiosi argentini. Improvvisa la notizia, dopo una crisi cardiaca di lunedì, nella tarda serata, la sua compagna, Susanne ha chiesto il massimo silenzio, Ricardo e Alessio, i figli avuti dalla moglie, Pilar, sono affranti e smarriti di stupore, anche improvvisa la scoperta di un mondo affezionato a questo terzino, così si scriveva un tempo, dal sinistro potente e preciso ma dotato anche di un destro forte, secondo le lezioni di suo padre Bernd.

Venne all'Inter per meno di due miliardi quando Ernesto Pellegrini era innamorato del fussball tedesco, dunque per incominciare Rummenigge e poi Matthaus e poi Klinsmann, tutti presi a fior di marchi per allestire una grande Inter. Brehme veniva da Amburgo, quella parte del nord di Germania così distante, non soltanto geograficamente dalla Baviera e poi dalla Lombardia interista. Incominciò a giocare in un club di periferia di Amburgo, il Barmbek-Uhlenhorst, in un provino contro l'Amburgo ci pensò Jimmy Hartwig a rompergli la dentatura come reazione ad un tunnel del moccioso, il padre lo portò al Saarbrucken, Andreas passò al Kaiserlautern lo chiamavano Eisenfuss cioè piede di ferro, dopo che si era tolto l'ingessatura per una frattura e con un bendaggio rigido realizzò un gol dalla propria metà campo. Antologia adolescenziale prima del viaggio decisivo al Bayern di Monaco.

Non era Hulk come Hans Pieter Briegel ma non aveva paura di nessuno, aveva corsa e, arrivato in Italia, lo assomigliammo a certi personaggi di Sturmtruppen, i fumetti comici di Bonvi, una satirica raffigurazione delle truppe tedesche durante la seconda guerra mondiale, i soldati parlavano un italiano camuffato con dizioni e suoni tipicamente crucchi, ne fecero anche un filmetto, così come si esprimevano, all'inizio, Kalle, Lothar, Jurgen und Andy. Erano anni belli, di gran football, di grandissima Die Mannschaft la Squadra, la nazionale tedesca, con la quale Andreas giocò 86 partite realizzando 8 reti.

La sua storia interista non abbisogna di nuovi commenti, a parte il cane pastore tedesco che Andy dipinse di rosso nel ritiro di Appiano Gentile. Furono giorni di allegria trapattoniana, calcio e amicizia, scudetto e coppa Uefa, la ola del popolo veniva riservata ad altri ma Brehme sapeva meritarsi gli elogi dei compagni e di chi, tra i giornalisti, ne aveva intuito l'importanza per il gruppo. Dopo Milano ci fu Saragozza, la Spagna, terra di origine di Pilar moglie bellissima ma arrivarono i litigi e quindi la separazione e quindi la crisi finanziaria, finito il tempo delle mele furono mesi e anni aspri; Oliver Straube, ex calciatore dell'Amburgo, poi titolare di una impresa di pulizie lo provocò: «Vieni a lavare i pavimenti, così capisci che cosa significa lavorare».

Franz Beckenbauer lo prese al Bayern come osservatore, la dignità della storia calcistica di Andreas non poteva finire con una ramazza e gli strofinacci. Resta l'immagine di quell'estate romana, Andreas sistema il pallone, tutto attorno è il silenzio. Come oggi.

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