Invertendo l'ordine dei fattori il prodotto non cambia. Cambia solo la maglia rossa, che dalle spalle di Fabio Aru passa su quelle di Joaquin Rodriguez. Un secondo era il vantaggio del corridore sardo sul catalano e lo stesso distacco è quello che separa i due alla vigilia dell'ultimo giorno di riposo che i corridori sosterranno oggi a Burgos.
Nel tappone dei sette colli, con oltre 5 mila metri di dislivello succede poco, quasi niente, se non negli ultimi 600 metri, dove il catalano Joaquin Rodriguez parte deciso e sembra chiudere ogni discorso: «Volevo la maglia rossa, ma non nascondo che speravo di fare più differenza», ammetterà il corridore spagnolo. Aru, nel finale, corre eccessivamente arretrato, sempre e costantemente nelle ultime posizioni del gruppetto di testa, con il compagno di squadra Mikel Landa a scandire il ritmo, e sembra non avere le gambe per reagire. Rodriguez, staccato nella generale di un solo secondo, pedala su quelle pendenze arcigne più di potenza che di agilità. Ermita de Alba è un colle dalla pendenza media dell'11%, con punte anche del 21. I corridori, che hanno già nelle gambe due settimane di corsa e due tappe di alta montagna, ci arrivano con le forze ridotte al lumicino. Rodriguez avanza piano, aggrappato al manubrio: è una lotta di resistenza. È una lotta dove la testa conta più delle gambe. Ed è negli ultimi e interinabili 300 metri che Fabio si esalta. Vede calare il rivale mentre lui riacquista compostezza e frequenza. Guadagna metro su metro a vista d'occhio e si rifà sotto: alla fine perde la maglia, ma col distacco minimo.
«È stata durissima per tutti - dirà nel dopocorsa il sardo -. Quasi sei ore di corsa si fanno sentire e con tutte queste montagne ha vinto solo e soltanto la fatica. Il mio obiettivo era stare il più possibile attaccato a Rodriguez e alla fine sono riuscito nel mio proposito. Ora sono molto fiducioso per la crono di mercoledì: lì posso guadagnare e tornare in rosso».
Perdere la maglia e sentire di poter vincere: questo è in sintesi il pensiero di Fabio Aru, che ha avuto anche il suo bel da fare per spiegare ai suoi tecnici - Beppe Martinelli in primis - il perché di una posizione così arretrata in una fase così calda e delicata della corsa. «Ho preferito mettermi dietro a tutti per vedere come pedalavano e che facce avevano. È vero, il manuale del buon ciclista dice che si deve stare alle spalle dell'uomo più pericoloso, ma io oggi mi sentivo di fare così», ha spiegato.
Per la cronaca la tappa è stata vinta dal 25enne lussemburghese Frank Schleck, che è andato in fuga fin dal mattino con altri otto temerarie poi li ha staccati uno ad uno. L'ultimo a resistergli il colombiano Rodolfo Torres, mentre terzo è arrivato il nostro Moreno Moser. In classifica generale, la coppia Rodriguez-Aru, che in pratica procede di pari passo, ha guadagnato ancora qualcosa sull'olandese Tom Dumoulin, autentica sorpresa di questa Vuelta.
Ora il corridore della Giant è 4° a 1'51" dalla maglia rossa, e considerato che è un ottimo cronoman, un vero specialista delle corse contro il tempo e domani a Burgos (38,7 km) ha tutto per poter sbaragliare il campo, nonostante il vantaggio dei due di testa sembri di tutta sicurezza. Anche se, in questa Vuelta, di sicuro non c'è proprio niente.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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