Charles, la vera F1 e quei tabù sfatati

Non chiamatela noia. E non perché abbia vinto la Ferrari

Charles, la vera F1 e quei tabù sfatati
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Non chiamatela noia. E non perché abbia vinto la Ferrari, evento meteosportivo che si addensa sulle nostre domeniche troppo di rado anche se quest'anno si registra qualche cambiamento climatico di rilievo. Non chiamatela noia, zero sorpassi, quel trenino di macchine in fila, le solite critiche, perché Charles Leclerc, nella sua commovente e ostinata rincorsa durata anni alla vittoria nel Gp di casa, ci ha regalato la dimostrazione magistrale dell'essenza del pilota e dell'essenza della F1. Quella del pilota in lacrime che vince dopo 40 corse di fila senza veri sorrisi e lo fa sotto casa sua, sotto quel balcone dove da bambino giocava con le macchinine rosse e papà Hervé, il papà che non c'è più, sognava per lui un futuro da pilota. Le prime parole dedicate al genitore inteneriscono, rivelano il sogno condiviso di vincere assieme e farlo proprio lì, sotto quel balcone, invece papà se ne andò alla vigilia di una gara di formula 2 che il figlio conquistò. Fu il primo omaggio. Ieri, il secondo. L'essenza dei piloti è questa, vite a trecento all'ora, sfiorando e baciando muri, vite di ragazzi ostinati, coraggiosi, scostanti ma capaci di tenerezze nascoste. Charles, la Ferrari e Monte Carlo ci hanno restituito anche una F1 d'antan, di quelle che non piacciono ai padroni americani - oddio, il botto alla prima partenza è di quelli che a loro piacciono -, una formula strategica, millimetrica, fatta di monoposto e piloti incollati dove la sfida è il calcolo, è il centimetro, è non sbagliare. Il botto e la seconda partenza avevano persino rispolverato un altro ingrediente d'altri tempi: la gara con un solo tipo di gomme. Da gestire, conservare, capire. Perché la bellezza di questo sport si nasconde nei dettagli, e non solo nei sorpassi. Un tempo era così. Schumacher era solito dire che la F1 sta alla MotoGp, dove i sorpassi sono la prassi, come il calcio al basket. Pochi gol e tanti canestri.

Come quello di un altro uomo in rosso, Pecco Bagnaia, che 800 km più giù a conquistato il Montmelò, pista stregata per lui, pista maledetta dove pochi mesi fa aveva rischiato la vita. In fondo, come per Leclerc, sfatato un tabù.

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