Riassunto: licenziato l'allenatore che vince lo scudetto, criticato quello che porta a casa la coppa Italia, discusso l'altro che conquista la supercoppa. Celebrato come un fenomeno l'allenatore che non ha vinto nulla ed è pagato in modo sontuoso, ventiquattro milioni lordi annuali, compreso il suo staff numerosissimo. Che razza di Paese, quello del football, è il nostro? Sarri, Gattuso e Inzaghi sono attori di questa commedia ma il protagonista assoluto è Conte Antonio, un uomo solo e non perché abbandonato perché ha scelto questo isolamento, ritenendosi, da sempre, vittima e martire, docente depositario in esclusiva del gioco e della tattica, il resto lo fa sorridere, è fuffa.
Qualche anno fa rosicava in modo volgare per l'ingaggio percepito da un altro collega che, a differenza sua, ha vinto più di lui, in Italia e in Europa. Questa è la mentalità del salentino, invidiosa e limitata per un professionista che ha grandi meriti per quello che sa trasmettere al gruppo di lavoro ma non riesce, poi, a migliorare il proprio bagaglio professionale invece intossicandolo con comportamenti isterici, anche paesani, nei confronti degli arbitri e degli avversari. Conte non è Mourinho, non è Lippi, non è Klopp, non è Ancelotti, non è Capello è Conte e basta, con tutto il resto che si porta appresso da quando ha deciso di allenare.
Le stesse cose di oggi erano accadute a Siena, ripeto a Siena, stesse parole, stesso tono, stessa commiserazione e poi a Bari e poi a Bergamo e poi a Torino e poi a Londra e poi a Milano. Forse Juventus, Chelsea e Inter sono stazioni difficili, di grande tormento, di difficile passaggio? O sono alibi per i propri limiti caratteriali, smarrendo il contatto con la realtà quotidiana, di una situazione di grandissimo privilegio che lo riguarda e che viene invece ribaltata come martirio? Chi può ancora credere a questi comportamenti? Quale grande club può offrirgli un'altra missione? Ma non certo per incapacità del professionista (chi la contesta è in malafede o prevenuto) ma proprio per l'imprevedibilità dei comportamenti, delle reazioni.
Le scelte nell'ultima partita, la rinuncia a Eriksen, il ritardo manifesto delle sostituzioni, l'isterica gestione durante i novanta minuti, sono state il riassunto di una stagione difficile, già macchiata da altre esternazioni critiche, da mezze frasi, da parole ambigue.
Martedì il confronto, forse si andrà allo scontro, forse si cercheranno soluzioni diplomatiche, forse il club si aspetterà un gesto di grande
dignità con le dimissioni dall'incarico, epilogo di rarissima esecuzione. La storia si conclude ma deve ricominciare subito. Con o senza Conte. Lo ha detto lui stesso. Perché gli allenatori passano ma il calcio continua.
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