Dawn Fraser, regina e ribelle della vasca

Fu oro nei 100 stile in tre Olimpiadi consecutive A Tokio '64 dopo un incidente. E la chiamavano vecchia...

Dawn Fraser, regina e ribelle della vasca

La vecchia signora non abbandonò mai il suo cangurino marron di pelouche. E lui, per tre volte, le fece compagnia sul podio, quello dell'oro, come fosse un simbolo, un segno del potere. Anche l'ultima volta, forse la più difficile, quando appunto era diventata una vecchia signor(in)a di 27 anni per il circolo delle ragazzine che le ronzava intorno. Anzi una mamie. Dawn Fraser non se ne sarebbe mai preoccupata: indemoniata sbeffeggiatrice di uomini e ritualità. Del resto era nata come The Dawn L'Aurora e, stavolta, anno di disgrazie 1964 aveva rischiato di non esserci: non solo sul podio, ma neppure in gara, a Tokyo, nella piscina di spaziale immaginazione inventata dai giapponesi per le loro olimpiadi. Poteva essere morta. Invece morì la mamma. Lei costretta al gesso per diversi mesi: le toccò un busto di ferro e cuoio con un collare rigido. Quel giorno, 9 marzo 1964, segnò che mancavano sette mesi ai Giochi di Tokyo. Dawn, in febbraio, aveva appena ritoccato il suo record del mondo: 589 nei 100 sl.

Storia infernale per una ragazza, la più giovane di 8 figli, che aveva già perso il fratello per leucemia nel 1950 ed, esattamente 10 anni dopo, il padre che lottò come un demonio contro un cancro. Dawn nata in un sobborgo di Sidney, in Australia, sotto quel viso rotondetto, un naso che avrebbe fatto invidia alla Gianna Nannini d'Italia, teneva una corazza da superwoman. Ma il destino non voleva aver pietà: alla periferia di Sidney la sua auto sbandò, andò ad urtare un autocarro parcheggiato al lato sinistro della strada, l'auto rimbalzò al centro della strada, fece il giro della morte strisciando sulla capote ed andò a fermarsi in bilico contro un muro. Poi arrivarono addosso altre tre auto e furono lamiere. La sorella e un'amica uscirono malconce. Dawn finì in stato di choc, ma più pesante fu il senso di colpa per la morte della mamma. Quindi che volete le importasse di certe ragazzine che la chiamavano mamma del nuoto. Aveva sulle spalle gli ori di Melbourne e Roma, i record del mondo dei 100 stile libero, unica donna ad essere scesa sotto il limite del minuto, una serie di giochi, sberleffi e dispetti con mezzo mondo, una lingua che tagliava. In vecchiaia è stata definita anche razzista. Racconti suoi, non invenzioni cronistiche.

Ricordò di Melbourne: «I poliziotti controllavano il villaggio, ma non riuscirono ad impedire che andassimo nelle camere dei nostri ragazzi». Invece a Roma: «Per far piacere ai romani, che ci guardavano con i binocoli, facevamo lo strip». A Roma, Dawn riuscì a litigare con le componenti della staffetta: la volevano in gara, lei disse no. Per rivalsa le ragazze fecero lo sciopero del silenzio in sua presenza. E lei, per risposta, scorrazzò per la capitale tra locali, discoteche, boutiques dove cercò un vestito da nozze: che poi non usò.

A Tokyo si ritrovò al fianco una stellina californiana di 15 anni, Sharon Stouder, che diceva di non temere nessuno: soprattutto le vecchie signore. E fu finale: ai 50 metri eccole virare insieme. Ai 70 metri pubblico in piedi: la ragazzina romba nell'acqua, può vincere. Ma, a quel punto, le due pinne di Dawn sgasano via, richiamano ogni forza e le mani toccano per prime. Stavolta due donne sotto il minuto (595 e 599), anche Stouder entrò nella storia. «Stasera non dovevo battere un record -racconterà- ma soltanto nuotare in funzione di Sharon: controllarla. Ora posso ritirarmi». E così Fraser lasciò le piscine forte di 39 record, oro nei 100 sl e staffetta a Melbourne, oro nei 100 sl a Roma, oro nei 100 sl a Tokyo. Nel tempo solo Michael Phelps e l'ungherese Kristina Egerszegy riusciranno a vincere tre ori, nella stessa gara, in tre edizioni consecutive dei Giochi. Dawn non poteva chiedere di meglio alla sua storia natatoria. Ma riuscì a far di peggio per lasciare ricordi indelebili. Una sera, dopo un party di festeggiamento, si lasciò convincere da amici occasionali ad un raid nei giardini del Palazzo Imperiale. Seguendo un fossato che circondava il palazzo, il gruppo si ritrovò davanti ad una selva di bandiere sventolanti. Una arrampicata e via una bandiera Olimpica. «La staccammo a fatica, ma dopo un attimo capii che ci avevano scoperto». Vennero trascinati al commissariato, Dawn fu rilasciata poche ore dopo grazie alla popolarità conquistata in piscina. L'imperatore Hirohito la perdonò inviandole, in dono, una bandiera olimpica. E lei chiuse i Giochi facendo la portabandiera del suo Paese. Ma la federazione australiana non la prese bene e la squalificò per 10 anni. Pena poi ridotta a 4 anni.

Fraser restò sempre una donna spavalda e battagliera, quasi temeraria: provò in politica nel Parlamento del New South Wales, ma durò poco. Si sposò subito dopo le Olimpiadi, anche il marito durò poco. Fu atleta dell'anno per l'Australia nel 1964, scrisse autobiografie, fece film, ebbe diversi riconoscimenti. «Sono una individualista sincera, è questa la causa delle mie disavventure», raccontò. Comunque una donna di ferro: nel 2009 un uomo la aggredì, prendendola per la gola, cercò di ucciderla.

Lei, 71enne, reagì, acchiappò capelli e orecchie, gli pestò un ginocchio sui santissimi e lo tenne fermo finché non arrivò la polizia. Spiegò: «L'ho colpito con un ginocchio da protesi. Lui mi ha fatto male, ma con il mio ginocchio in titanio devo avergliene fatta di più». Una signora di nobil metallo.

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