Dopo le secchiate di urina, gli sputi in faccia, la vernice lanciata contro la sua ammiraglia, i buuuu e i pernacchi che l'hanno accompagnato lungo questo Tour, finalmente Chris Froome conosce il piacere dolce ed estasiante degli applausi. Solo applausi e boati di apprezzamento. Finalmente tutti uniti verso un unico riconoscimento. «Ma quelli che mi hanno mancato di rispetto sono stati davvero pochi, una piccolissima minoranza - spiega la maglia gialla, con gli occhi ancora lucidi -. Erano per lo più ubriachi. Forse persone che con il ciclismo c'entrano molto poco».
Ha faticato come mai gli era capitato di fare per arrivare sul gradino più alto del podio. Ha dovuto lottare come mai aveva fatto in passato contro un Quintana che «sarà il mio avversario futuro: lo rispetto, perché è un grande corridore». Mentre non ha fatto nulla per nascondere il proprio disprezzo per il nostro Nibali, secondo lui reo di lesa maestà. «Credo nei valori dello sport e credo che una maglia gialla debba essere rispettata - dice -. Non si attacca chi è appiedato per guasto meccanico o quant'altro. Lui mi ha mancato di rispetto».
Anche questa è una notizia. Lui che notoriamente è calmo, pacato e riflessivo, al limite della timidezza, perde le staffe per l'allungo del campione d'Italia che in questo Tour ne aveva subite di ogni ed era staccato di oltre otto minuti. Vincenzo dice di non essersene accorto, ma anche se così non fosse ci sembra che il britannico la faccia un po' troppo lunga.
Sbaraglia la concorrenza e come in occasione della sua prima vittoria al Tour, tre anni fa, rimanda al mittente tutti i dubbi e le polemiche che l'hanno accompagnato. Nella prima settimana era apparso un robot programmato alla perfezione, poi ci è parso molto più umano, vulnerabile e credibile. «Vedrete: la mia maglia gialla supererà l'esame del tempo. Nessuno dovrà vergognarsi di avermi premiato e applaudito», assicura lui.
A domanda risponde, senza esitazioni, senza reticenze. A chi gli chiede se ha temuto di poter perdere questo Tour, lui risponde affermativamente. «Sì, ho temuto di perdere sull'Alpe d'Huez, una salita che non mi piace neanche un po', che non riesco a digerire».
Lo strapotere sui Pirenei, l'apparente vulnerabilità sulle Alpi: già a La Toussuire era sembrato più umano. «Dal secondo giorno di riposo ho cominciato a soffrire per una bronchite, ma state tranquilli, non ho preso medicine, non ho chiesto un Tue (autorizzazione per farmaci a restrizione d'uso, come avvenne al Romandia 2014, ndr). Ho fatto una fatica pazzesca e il merito è tutto di Nairo, che mi ha spinto ai miei limiti in ogni modo».
Una sfida totale e globale, per convincere l'opinione pubblica della bontà del proprio lavoro, grazie ad una programmazione senza eguali, che pochi corridori sanno reggere. Chiedere a Bradley Wiggins, che dopo aver trionfato sulle strade di Francia disse: «Mai più, questa non è vita». Chiedere a Richie Porte, che a fine stagione cambierà aria: «Qui salti di testa».
«Amo il sacrificio e l'allenamento, il duro lavoro - spiega la maglia gialla - È questo che mi fa alzare dal letto ogni mattina.
Non lo faccio per vincere un particolare numero di Tour, o avere la fama o i premi. No. Io amo correre in bici, spingere il mio corpo al limite, amo la libertà che ti dà il ciclismo. Non so se posso rivincere un altro Tour, so però che questo posso farlo solo in un team come il mio: nel Team Sky».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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