«Io favorito? Sono stanco... ma voglio meritarmi la Ryder»

Dopo la vittoria al torneo di Wentworth, l'azzurro Francesco Molinari si nasconde per l'Open d'Italia: "Presto per sbilanciarsi"

«Io favorito? Sono stanco... ma voglio meritarmi la Ryder»

Se a Gardagolf, per l'Open d'Italia, vi aspettate un Francesco Molinari carico a bomba per il successo ottenuto domenica scorsa nel Bmw Pga Championship, non avete capito nulla del campione e soprattutto dell'uomo che, per la precisione dei colpi alle bandiere, sul Tour è conosciuto come Laser Frankie.

«Lo so che si lamentano del fatto che sono un giocatore noioso, però, dopo il terzo colpo di Wentworth alla 18 che per poco finiva in acqua, mi sa che non lo diranno più (ride ndr). A parte gli scherzi, a me piace rimanere coi piedi per terra, restare obiettivo, senza farmi condizionare dai risultati».

Però un pensiero sulla Ryder Cup lo starà facendo.

«Giocarla ancora sarebbe un sogno, ma non credo che pensarci mi aiuti a centrare quell'obiettivo. Preferisco concentrarmi sui tre Major che mancano e sul finale di stagione della FedEx Cup: se gioco bene in questi appuntamenti, la Ryder sarà una conseguenza».

Ma almeno un ragionamento su quale sia il segreto del suo golf vincente ce lo può raccontare?

«Credo che la mia forza sia la capacità di analizzare obiettivamente i risultati, buoni o cattivi che siano, senza mai farmi condizionare né dagli uni, né dagli altri. La vittoria di Wentworth nasce proprio da questo studio».

E cioè?

«Le faccio un esempio: al Wells Fargo avevo giocato benissimo ed ero arrivato solo 16º; avevo preparato con cura il Players Championship, ma ho mancato il taglio. A quel punto, mi sono seduto al tavolo con il mio team per capire cosa non andava, analizzando ogni aspetto e siamo arrivati a una quadra: sono tornato in Europa e ho lavorato con il mio coach su alcuni aspetti dello swing che non andavano e i risultati sono arrivati subito. Il che è raro, perché non esistono trucchi che possano farti migliorare di un 15% in un baleno. Piuttosto il segreto del golf sta in mille piccole cose diverse e ognuna di queste ti aiuta per l'1%. Un successo sul Tour parte da molto lontano».

E il suo da dove è partito?

«Direi dal marzo 2018, quando, dopo quattro anni di collaborazione con Dave Stockton, ho iniziato a lavorare sul putt con Phil Kenyon. Mi ha cambiato l'approccio al colpo, che è diventato più analitico e scientifico, con molti più numeri, video e dati. Perché nel golf è molto facile e pericoloso scambiare per delle conseguenze ciò che invece è il problema principale. In questo senso la tecnologia ti può aiutare moltissimo».

Quindi sarà ottimista in vista dei quattro giorni dell'Open d'Italia. In fondo, vincere aiuta a vincere, dicono...

«Sì, è vero. Però il torneo della settimana scorsa ha significato un consumo pazzesco di forze. E poi parlare di vittorie il giovedì, temo sia troppo presto: non voglio concentrarmi su questi pensieri, ma solo su ciò che posso controllare».

A proposito di controllo: domenica, nel momento della vittoria, la sua reazione è stata assai misurata.

«Temo che il mio, più che gioia, fosse sollievo per aver finito. Se sei in testa, il finale di quel torneo con due par 5 e McIlroy a inseguire, ti pare un incubo. Mi aspettavo il suo attacco e, con 4 colpi di vantaggio, ho cercato di evitare di commettere errori, il che non è mai la cosa ideale nel golf. Però è bastato».

Ma almeno avrà festeggiato a casa.

«Non molto, a dire il vero.

Sono tornato a casa a Londra molto tardi, col volo programmato per Torino per il giorno dopo. Praticamente ho festeggiato facendo le valigie, il che non è granché, ma ci sarà tempo più avanti per riuscire a farlo».

Magari domenica, a Gardagolf.

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