L'aria del Triplete: Inter senza paura

Da Dimarco a Lukaku: il 2010 sullo sfondo. Allora tutti stranieri, oggi metà titolari italiani

L'aria del Triplete: Inter senza paura
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Un fiume di parole, speranze miste all'ambizione, la voglia di credere che sia davvero possibile scavalcare il pronostico e battere il City. Così Inzaghi: «Non sono bravo con le percentuali, dico solo che giochiamo con la squadra che tutti considerano la migliore del mondo e che ha vinto 5 volte la Premier negli ultimi 6 anni». Però mai la Champions e neppure la vecchia Coppa Campioni: l'appuntamento con la storia è dell'Inter, ma ugualmente anche del suo temuto rivale.

A ciascuno il suo: il City gioca per il Treble, l'Inter per il tripletino. E nel giorno in cui Appiano apre alla stampa internazionale per svelare scontati propositi pre-Istanbul, il ricordo dello storico 2010 riecheggia nell'atmosfera. Lukaku: «Molti giocatori che fecero quell'impresa, vengono spesso a vedere le nostre partite e mi dicono che lo spirito è lo stesso di allora». E anche chi nega, in realtà conferma. Come Dimarco: «Sono 13 anni che riguardo la finale di Madrid, sognando di arrivarci. Sono stati due percorsi diversi. L'Inter del 2010 era una squadra forte, affermata. Noi siamo un gruppo giovane, un grande gruppo, stiamo vivendo questo sogno che sta per avversarsi». Insomma, c'è il Triplete nell'aria.

Di sicuramente diverso, c'è che a Madrid non c'erano italiani in campo, entrò solo Materazzi pochi istanti prima che la partita finisse. A Istanbul con Dimarco, completamente recuperato, ci saranno invece Darmian e Acerbi, Bastoni e Barella, cioè mezza squadra. La formazione è fatta e la si conosce (Mkhitaryan in panchina, non gioca dal 16 maggio) con l'unico dubbio sul partner di Lautaro («me lo trascinerò fino all'ultimo», mente Inzaghi, che ha invece sicuramente deciso, ma che preferisce non dirlo, perché dalla scelta del secondo attaccante, Guardiola capirebbe il tipo di partita che intende giocare l'Inter). Le quotazioni di Dzeko restano più alte, ma c'è chi resta convinto che Big Rom sia l'arma migliore per prendere spallate il calcio di Guardiola.

Il Toro non ha preferenze, o per lo meno non ne esprime: «Dzeko preferisce avere il pallone, collega i reparti, Lukaku ama attaccare gli spazi: sono due grandi giocatori, a cui cerco ogni volta di adattarmi». Finora, 28 gol Lautaro e 28 gol Dzeko-Lukaku, equamente divisi: 56 in totale, appena 4 in più di quelli che Haaland ha segnato da solo (52 in 52 partite, nonostante le ultime 4 all'asciutto), giusto per ricordare quel che aspetta Acerbi e Bastoni.

Fino alla scorsa stagione, Inzaghi non aveva mai incrociato Mourinho, poi battuto 4 volte su 5 in questi 2 anni di Inter. Quella di sabato sarà la prima sfida in panchina con Guardiola, invece già affrontato sul campo, ma il ricordo più curioso di Inzaghi con Pep è un altro, «quella volta in cui, 4 anni fa a New York, nel mio viaggio di nozze, lo incontrai la mattina a colazione in albergo». E sabato, Istanbul.

Il futuro è adesso: Inzaghi e i suoi giocatori hanno l'occasione per chiudere trionfanti un percorso che e già vincente, anche senza coppa. «La finale è un premio al lavoro di tutti», spiega Marotta.

«Inzaghi è stato bravo a rimettere la squadra sulla strada giusta, dopo gli sbandamenti che abbiamo avuto. Siamo qui con orgoglio e merito». E in fondo non sono passati nemmeno 2 mesi, da quando il tecnico rischiava la panchina. I risultati sono e possono tutto, anche regalare un sogno.

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