L'Olimpico sarà di Pablito. L'omaggio politico che dimentica la realtà

Lo stadio deve aver dentro le imprese. Paolo Rossi le fece altrove. E anche la Nazionale

L'Olimpico sarà di Pablito. L'omaggio politico che dimentica la realtà

Ordine del giorno: intitolazione dello Stadio Olimpico di Roma a Paolo Rossi. Votazione, presenti 394, votanti 392, astenuti 2, contrari 5, a favore 387, la Camera approva. La proposta di PierAntonio Zanettin è passata ma, per abitudini nostrane, si è pure aperto il dibattito sull'opportunità di dedicare a Paolo uno stadio che non lo ha individuato nella sua carriera agonistica ma nemmeno rappresenta il simbolo esclusivo della nazionale italiana. Perché Olimpico-nazionale italiana non è un rapporto del tutto sincero e veritiero. Lo stadio di Roma, come dice la sua insegna, fu lo stadio dei Giochi, la pista di Livio Berruti, il teatro di altre imprese, calcistiche e non soltanto. Il precedente del San Paolo di Napoli, ribattezzato Diego Armando Maradona, ha sollecitato i personaggi delle istituzioni calcistiche, nella persona del presidente Gabriele Gravina, alle quali si è subito affiancata astutamente la Fifa di Gianni Infantino. Nessuno può e deve discutere la figura di Paolo Rossi, la sua morte prematura ha riportato il popolo dei tifosi a un'epoca bellissima ma la stessa federcalcio non ha mai pensato di dedicare uno stadio alla memoria di Vittorio Pozzo, allenatore, giornalista, scrittore, vincitore di due mondiali e di una olimpiade alla guida della squadra azzurra. Per il nostro eroe degli Anni Trenta, un campo a Biella, nient'altro. Così per Enzo Bearzot, simbolo di un momento storico che ebbe in Paolo un interprete decisivo, per il vecio soltanto l'omaggio dello stadio di Gorizia.

La memoria celebrativa vive di emozione e di commozione mediatiche, Rossi è l'uomo dell'Ottantadue, il suo cognome è la password valida in ogni parte del mondo: sarà tuttavia difficile cancellare dall'insegna la citazione Olimpico sostituendola con quella del nostro campione. Ma sembra opportuno accontentare le coscienze, le stesse che degli uomini si occupano quando hanno lasciato la vita terrena. Paolo Rossi ne è stata la conferma, il suo addio è stato improvviso perché silenzioso, educato e discreto in un sistema che si eccita per altri personaggi e altre vicende. Uno stadio di calcio si porta appresso ricordi di gol, parate, trionfi, il Bernabeu di Madrid, il Sarria e il Camp Nou di Barcellona, il Comunale di Torino, il Curi di Perugia, il Menti di Vicenza, il Meazza di Milano, più dell'Olimpico, sono stati i teatri e carillons dei gesti, delle gesta e della musica di Paolo. L'omaggio politico e istituzionale gli rende onore ma serve soprattutto a mettere a posto la coscienza di chi, un secondo dopo, bada agli affari.

Lo sport non ha bisogno soltanto di commemorazioni, un paese civile non dovrebbe prescindere dall'educazione sportiva nelle scuole. Era questa un'idea di Paolo, insegnare l'arte del gol e il senso della vita. Chi entrerà all'Olimpico dovrà sapere questo e altro ancora.

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