"Maglia del Milan? Buone intenzioni ma quei colori hanno tradito i tifosi"

L'esperta di armocromia Enrica Chicchio: "Il messaggio del club era positivo, ma innovazione e tradizione vanno bilanciate"

"Maglia del Milan? Buone intenzioni ma quei colori hanno tradito i tifosi"
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«Più che dedicata alla gloriosa storia del Milan, sembra ispirata alla stupefacente leggenda di Bob Marley...». Un inferno di commenti ironici sulla divisa del Diavolo sfoggiata nel match perso in casa contro la Lazio. I tifosi - già in fiamme per lo scarso rendimento della squadra - sono stati colti da un attacco di labirintite, causa le vertigini provocate da una maglietta che ha costretto tutti a stropicciarsi gli occhi; nessuno che abbia difeso quella strana «camiseta» dal costo (185 euro) inversamente proporzionale alla bellezza. Enrica Chicchio, regina dell'«armocromia» (scienza glamour specializzata nel raccordare le perfette nuance ai giusti capi di abbigliamento), non boccia in assoluto la palette della casacca, ma comprende quanti si sono mostrati scettici verso una tavolozza che, nelle intenzioni «woke» dei suoi creatori, avrebbe dovuto esaltare il «concetto dreamland» basato sul «pacifismo antirazzista di Martin Luter King»; il tutto mixato con il ricordo della Coppa dei Campioni vinta dal Milan nel '63.

Parola d'ordine: «I Have a Dream». Peccato che la «mescola» giallo-verde-rosso-nero risulti forse un po' troppo pasticciata....

«Nonostante il messaggio proposto dalla maglia sia certamente positivo e significativo, è comprensibile che i tifosi rossoneri possano sentirsi disorientati da una modifica che sembra alterare l'essenza di ciò che i colori tradizionali rappresentano».

Prima di procedere nella stampa, gli artefici della «novità» avrebbero fatto meglio a rivolgersi a un armocromista?

«Sì. In questo contesto, l'armocromia diventa una metafora potente per spiegare come l'adozione di nuovi colori debba rispettare un equilibrio tra innovazione e tradizione».

Obiettivo?

«Fare in modo che ogni tifoso si senta sempre rappresentato dalla propria squadra».

È la forza del valore identitario. Per il club, ma ancor di più per le persone che quella società la amano, sentendosi parte integrante dei suoi colori-iconici.

«La maglia non è solo un capo d'abbigliamento, ma un simbolo che racchiude lo spirito del club, il legame emotivo con la squadra e l'orgoglio di sostenerlo nella buona e nella cattiva sorte».

Snaturare i riferimenti originari o edulcorarli in forme e tinte fantasiose può essere percepito come uno «scippo della memoria»?

«Sì. Per i tifosi (nel caso dei milanisti, il rosso e il nero, ma lo stesso vale per la divisa gialla della Juve) quelli sulle maglie non sono semplici colori, ma il riflesso della loro più intima anima culturale e sportiva».

Sentimenti privati che, pur nella dimensione pubblica

della curva, coinvolgono cuore e cervello. Picasso diceva: «I colori seguono i cambiamenti delle emozioni».

«E non ritrovarsi più nei propri colori è come sentirsi traditi. Col rischio di non ritrovare più se stessi».

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