"Il male del nostro calcio è il settore giovanile. Si torni subito al passato"

Intervista a Sandro Mazzola. La cura per i mali del calcio? "Gemellaggi con i club dilettantistici. Frattesi-Inter? Quella maglia pesante dirà se vale"

"Il male del nostro calcio è il settore giovanile. Si torni subito al passato"

Sandro Mazzola risponde dal suo eremo sardo, vacanze al mare come sempre, da più di 40 anni. «Torno a settembre, la Brianza può aspettare. Fa troppo caldo adesso». È partito da Vedano la scorsa settimana, proprio il giorno in cui l'Under 21, sconfitta dalla Norvegia, ha scritto un'altra deludente pagina per il calcio italiano. «Siamo arrivati a casa che la partita stava finendo, non ho visto nulla. Ma mi sono immaginato come fosse andata, e infatti poi ho letto il giorno dopo. Speriamo che la lezione serva a qualcosa, ma è lecito dubitarne. Mi sembra che da anni non impariamo mai nulla».

Baffo, andiamo con ordine: qual è il problema più grande del calcio italiano?

«I settori giovanili, o meglio: il modo in cui avviciniamo i ragazzini al pallone. Ci siamo dimenticati di accarezzarne il talento, di crescere le piante dalle radici. Dieci anni fa porto mio nipote, che allora aveva 7 anni, a giocare in una squadra in cui conoscevo tutti. Inverno, sei e mezzo di sera, freddo cane: 20 minuti di giri di campo, poi gli ostacoli, poi la corda, dopo un'ora, quando i bambini erano stanchi morti, finalmente il pallone, 10 minuti e via. E dov'è il divertimento? Come può maturare la passione?».

Però non saranno tutte così le società dilettantistiche?

«Ora è il tempo delle scuole calcio, dove i genitori pagano 4/500 euro a stagione. E se il figlio non gioca, dopo un anno lo ritirano e il bambino se va bene resta un tifoso, sennò il calcio lo perde anche in quella veste. Una volta i campi erano in terra e quando pioveva c'era solo fango. Ora queste società hanno il ristorante per gli ospiti, il terreno in erba e quello sintetico. Una volta si giocava gratis, ora è fatto tutto solo per denaro».

La ricetta di Mazzola?

«Tornare indietro per andare avanti. Da dirigente dell'Inter, eravamo gemellati con molte società dilettantistiche: davamo loro una cifra fissa ogni anno e avevamo la possibilità di scegliere due dei loro tesserati. In più, i loro allenatori venivano a vedere come lavoravano i nostri. Era un modo per seminare».

Crede alle seconde squadre, sul modello che finora in Italia è stato solo della Juventus?

«Ci credo, ma costano e non bisogna avere fretta. Molte società invece preferiscono investire puntando sui mercati esteri, così cresciamo i giocatori degli altri invece che i nostri».

È contro gli stranieri?

«Per nulla, anzi viva gli stranieri. Ma che siano bravi, non solo che costino poco. Che poi anche lì, cosa vuole dire poco? Si possono vedere le squadre Primavera senza giocatori italiani?».

Tre squadre italiane nelle 3 finali di coppe. Lei come se lo spiega: siamo in crisi o non siamo in crisi?

«Il movimento è in crisi, netta, profonda, mi pare evidente. Poi ci sono le eccezioni, e sono i club, dove quest'anno siamo riusciti a salvarci per l'arguzia di un allenatore, piuttosto che per i colpi di un giocatore e magari anche un po' di fortuna, che non guasta mai. Tre finali sono un buon traguardo, ma c'è qualcuno che possa garantire che l'anno prossimo ce ne sarà almeno una? Io no di sicuro. Le nazionali sono il vero specchio di un movimento e saltare 2 Mondiali e 4 Olimpiadi sono la dimostrazione che non ci siamo».

Eppure 2 anni fa abbiamo vinto l'Europeo.

«L'eccezione. Vincendo ai rigori semifinale e finali. Non eravamo certamente la squadra più forte».

Ha notato che nel calcio italiano non si dimette mai nessuno?

«Non è bello e non è una novità, anche se in passato c'è chi l'ha fatto».

Sia sincero, il calcio la diverte ancora?

«Da matti, il calcio è una delle cose più belle del mondo. È un po' che non vado allo stadio, anche se mi invitano spesso, ma ormai ho una certa età e mi godo meglio lo spettacolo dalla tv, ci sono tanti replay (ride)».

Quanto ha tifato per l'Inter a Istanbul?

«Tanto, e a un certo punto ho anche creduto che potessimo pareggiare. Lo avrebbero meritato i ragazzi e soprattutto Inzaghi, uno in gamba, uno che si merita la panchina dell'Inter. In 2 anni ha tenuto la squadra ad alto livello, ha vinto e rivinto e l'anno prossimo può centrare lo scudetto. Se lo meriterebbe e glielo auguro di cuore. Mi piace molto, anche per come parla. Non era interista, ma lo è diventato».

Chi le piace di più dei giocatori di Inzaghi?

«Lautaro più di tutti, è lui il vero capitano della squadra, il vero leader. E il Mondiale l'ha fatto crescere molto anche in autostima, ora ha coscienza di essere un giocatore importante e non ha paura di sbagliare. È uno che decide, che prende responsabilità, sono questi i calciatori che mi piacciono. Come Barella, l'altro leader della squadra. Forse è il giocatore italiano più forte del momento».

L'uomo italiano dell'estate è Frattesi.

«Bravo, ma va visto con un'altra maglia addosso, ce ne sono alcune che pesano un po' di più. Se davvero, come sembra, chiuderà con l'Inter, quella maglia dirà se può fare le differenza. Barella ce l'ha fatta e come lui Tonali, un altro che mi piace moltissimo. A proposito: perché il Milan l'ha venduto?».

Per soldi, Sandro. Solo per soldi, perché pare che ai soldi della Premier non si possa dire no.

«E questo secondo me è un errore.

I giocatori bravi bisogna tenerseli e costruirci intorno il resto, creare e conservare il gruppo, meglio se con qualche italiano in più. Ora invece leggo che il Milan con i soldi di Tonali comprerà solo stranieri. Ma perché?».

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