Dopo la morte di Maradona c'è il via libera al condono fiscale

La Suprema Corte ha stabilito che l'ex Pibe de Oro poteva beneficiare del condono fiscale per i 40 milioni pretesi dal fisco italiano

Dopo la morte di Maradona c'è il via libera al condono fiscale

Vittoria post mortem in Cassazione per Diego Armando Maradona: la Suprema Corte, con un verdetto pubblicato oggi e discusso in udienza a porte chiuse lo scorso 20 ottobre, ha stabilito che l'ex Pibe de Oro - morto il 25 novembre 2020 - ha diritto al condono concesso al Napoli Calcio e convalidato dalla Commissione tributaria centrale di Napoli nel 2013.

La Cassazione ha accolto il ricorso presentato nel 2014 da Maradona e, con un'ordinanza depositata giovedì 11 marzo, ha disposto un nuovo esame della controversia fiscale, relativa a circa 40 milioni di euro, e ha stabilito che l'argentino poteva beneficiare del condono fiscale. La Camera di Consiglio si era riunita lo scorso 20 ottobre, dunque circa un mese prima della morte di Maradona. Grazie a questa decisione si potrà chiudere la gran parte del contenzioso fiscale con la Commissione regionale della Campania chiamata a valutare, nell'interesse degli eredi, se ci sono pendenze non condonabili.

"La Cassazione ha confermato quello che abbiamo sempre detto: Maradona non è mai stato un evasore fiscale" commenta soddisfatto l'avvocato Angelo Pisani, difensore di Maradona nella lunga vicenda giudiziaria relativa a una presunta evasione fiscale legata al pagamento degli stipendi della società partenopea. "L'evasione fiscale - sottolinea Pisani - non è mai esistita, così come è stato per Careca, Alemao e per il Calcio Napoli, che era il datore di lavoro".

Il caso

Un'annosa vicenda quella tra il fisco italiano e Maradona, debitore per una somma, finita per superare i 40 milioni di euro, dai circa 15 miliardi iniziali. Rapporti burrascosi ed episodi, di cui Diego si dichiarò sempre vittima, destinati a lasciare il segno come il sequestro del Rolex e dell'orecchino avvenuti nel 2006 e nel 2009 al suo rientro in Italia. La querelle ebbe inizio addirittura negli anni '80 quando era già consuetudine per i club, al fine di garantire uno stipendio netto ai calciatori versare parte degli emolumenti a società di sponsoring offshore per lo sfruttamento dei diritti d’immagine – come la Diego Armando Maradona Productions Establishment di Vaduz – che poi li riversavano agli atleti.

Questa prassi solleticò le indagine della Procura, con l'ipotesi che queste operazioni fossero un’interposizione fittizia di persona per non pagare Irpef, ritenute alla fonte e contributi sociali sugli emolumenti dirottati verso le società offshore. Tutto terminò però con una richiesta di archiviazione. In parallelo partì una verifica fiscale che portò l’Agenzia delle Entrate ad emettere nei confronti di Maradona, dei suoi compagni di squadra Careca ed Alemao e della Ssc Napoli, una serie di avvisi di accertamento relativi al periodo 1985–1990. Ed è proprio da questo momento che nascono per il campione i problemi con il fisco italiano.

Se la vicenda si chiuse in maniera indolore nel 1994 per Careca, Alemao e per la società di Corrado Ferlaino con l'accoglimento dei ricorsi da parte della Commissione tributaria di Napoli così non fu per Maradona. Gli avvisi di accertamento notificati a Diego e mai impugnati divennero definitivi per mancata opposizione e quindi la pretesa del fisco proseguì, attraverso l’iscrizione a ruolo delle somme pretese e la notifica degli avvisi di mora. Resta famoso quello da 39 milioni di euro notificato a Maradona nell'ottobre 2013 a Milano in hotel.

La battaglia legale è poi proseguita in questi anni tra rivendicazioni e carte bollate fino alla pronuncia di oggi, che accoglie il

ricorso presentato da Maradona nel 2014 e chiude gran parte del contenzioso fiscale. Ora la Commissione regionale della Campania dovrà valutare, nell'interesse degli eredi, se ci sono delle pendenze non condonabili.

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