nostro inviato a Sanremo
Goss, Gerrans, Ciolek, Kristoff: questa non è la Settimana Enigmistica e questo non è il gioco Indovina chi è lo sconosciuto. I quattro mister X, non esattamente un poker d'assi, sono gli ultimi quattro vincitori della Milano-Sanremo. Non ho detto il palio degli asini: ho detto proprio Milano-Sanremo.
Crisi e declino della grande gara di primavera? Necessità di metterci mano, siringando magari nel finale una pseudo-salita come la Pompeiana (prevista sciaguratamente quest'anno, provvidenzialmente cancellata per i danni del maltempo invernale)? Nemmeno il caso di parlarne. La Sanremo non è in crisi e non declina. Va bene così com'è, da più di un secolo. Quanto alla Pompeiana, sta bene dov'è sempre stata, ben alla larga dal percorso classico. Eventualmente, bisognerebbe riavvincare il traguardo al Poggio, per premiare i temerari. Eventualmente. Ma al di là di tutte le discussioni viabilistiche e catastali, non esiste proprio che la Sanremo debba essere seviziata soltanto perché negli ultimi quattro anni ha premiato figure secondarie. Ancora una volta, anche stavolta, la Sanremo se ne impippa dei quarti di nobiltà: premia il coraggio e la forza bruta di un grande fondista. Altro che corsa per velocisti. I velocisti nel finale ci sono, questo nessuno lo può negare: ma casualmente perdono tutti, dal superfavorito Sagan a sua rapidità Cavendish. Guarda caso, il carrarmato Cancellara, che sprinter non è, si ritrova ancora secondo (per lui cinque podi, con una vittoria). Primo è il norvegese Kristoff, ventiseienne di Oslo, figlio di un cardiologo e di una ginecologa, ma soprattutto un gran fisico da bestia, che gli consente di dominare in modo impietoso lo sprint dei migliori. E tutto questo cosa significa? Significa una cosa semplicissima: la Sanremo non è una corsa per velocisti, come ci raccontiamo per dare aria ai denti, ma è se mai una corsa per fondisti veloci, il che è tutto un altro parlare.
«Sono felice, ancora non ci credo, è il giorno più bello della mia carriera»: anche Kristoff, come i suoi tre predecessori, ripete puntualmente la filastrocca del vincitore sconosciuto. Ai suoi piedi, infradiciati da sette ore di diluvio, la litania dolente degli illustri sconfitti. Primo fra tutti il talentissimo Sagan, ancora una volta deficitario sul piano della resistenza, vero campanello d'allarme riguardo il suo effettivo spessore mondiale. E secondo fra tutti Cavendish, signore degli sprinter: bravo a tenere sui Capi, l'inglese paga il dazio degli sforzi proprio negli ultimi metri, con una volata che non ha niente d'autore.
E noi? E noi fratelli d'Italia che non vinciamo una superclassica dal 2008? E noi ormai figli di un ciclismo minore? Attribuiti meritati encomi ai giovani Battaglin e Colbrelli, coraggiosi a provarci nel finale, non ci resta che il solito, l'unico, preziosissimo nome: Nibali. Benchè stia calibrando tutta la stagione sul Tour, benchè la sua condizione sia ovviamente ancora da inventare, quando fiuta la corsa vera non si trattiene mai. Alla Sanremo ha chiesto e ottenuto di venire contro il volere della squadra, alla Sanremo lascia ancora una volta il segno: è lui a rompere il rigido controllo dei team sprintosi, è lui a inventarsi la lucida follia, è lui ad andarsene da solo sulla Cipressa e a giocarsi il tutto per tutto. Purtoppo non lo segue nessuno, purtroppo si sciroppa da solo il logorante tratto di pianura fino al Poggio: con queste premesse, c'è una possibilità su cento di farcela. Nibali come al solito se la gioca fino in fondo.
Gli assatanati del gruppo lo riprendono sul Poggio, ma non cambia niente. Anche la Sanremo rilascia la sua autorevole certificazione: il ciclismo italiano è solo Nibali. Il resto sono chiacchiere. L'avessimo noi, un Kristoff qualunque.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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