Hanno domandato a Guardiola se concederà il passo d'onore al Real Madrid che ha vinto la Liga spagnola: «Questa è la Champions league», ha risposto dopo un lungo silenzio il catalano del Manchester City. L'atmosfera della semifinale a Madrid è questa, aria strana perché il 4 a 3 dell'andata può essere ribaltato ma è, al tempo stesso, segnale di allarme per Ancelotti che conosce benissimo la strada di questo torneo. Lo ha vinto 5 volte, due da calciatore, tre da allenatore, Guardiola è fermo alle due finali conquistate con il Barcellona undici anni fa, oltre a quella vinta contro la Sampdoria da giocatore. Non è ancora il tempo di alzare la coppa più prestigiosa però i vapori di questo ritorno di semifinale provocano paralleli e suscitano memorie. In gioco c'è il club di eccellenza il migliore del mondo, per storia, tradizione; di fronte, la nuova realtà contemporanea, la finanza che ha reso grande una squadra che ha vinto un solo trofeo internazionale, la coppa delle coppe nel 1970 ma che è stata costruita per conquistare finalmente l'Europa.
Il fascino prende corpo nello stadio del miedo, della paura, il valore aggiunto del Real che vuole la diciassettesima qualificazione alla finale ma i tifosi non bastano, così come il cuore e la personalità, secondo le parole di Ancelotti. Servono la qualità del singolo e anche la sorte che ha già accompagnato gli spagnoli contro il Chelsea e il Paris St. Germain. Ma non è questa la dote principale di Ancelotti anche se è la corrente di pensiero, si fa per dire, degli ex calciatori, alla voce Cassano Antonio che a Madrid non hanno lasciato particolari tracce. Il Real pensa già alla prossima stagione, a Rudiger già preso, a Mbappé e Haaland, i capricci stramilionari di Florentino Perez che, in attesa della superleague, costruisce un nuovo superReal per una superLiga. Altro mondo, altro calcio, valori inestimabili in campo e in sede, City e Real sono in testa alla lista mondiale per fatturati, 644,9 milioni gli inglesi, 640 gli spagnoli, cifre che illustrano la potenza, il potere e il distacco rispetto ad altri competitors.
Non è soltanto una questione di soldi, Ancelotti e Guardiola sono i migliori interpreti di un football che cambia conservando le identità di origine, la saggezza dell'italiano capace di gestire lo spogliatoio e di trasferire alla squadra l'equilibrio necessario, la competenza del catalano, astuto nei confronti degli avversari sempre accarezzati prima del castigo ma con un carattere e comportamento a bordo campo esattamente opposto a quello di Carlo. Poi, forse prima, ci sono gli attori, Modric, De Bruyne, Vinicius, Foden, ieri, oggi e domani. E, infine, anche questi forse prima, Florentino Perez e Mansour Bin Zayed al Nahyan, i cui patrimoni personali vanno oltre i 25 miliardi di euro, con la forbice aperta in favore dello sceicco.
C'è tutto questo nella partita di stasera nello stadio Santiago Bernabeu, che fu calciatore del Real e una sola volta dell'Atletico e poi presidente per trentacinque anni, dal 1943 al 1978, del Real. La città e i tifosi decisero di dedicare al presidente, nel gennaio del 1955, il nome del vecchio Chamartin. Anche questo è un altro mondo, un altro football, un'altra storia.
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