Chi ha detto che il rugby azzurro non vince mai? In campo sicuramente, visto che anche ieri la Nazionale è stata spazzata via dal Galles senza mai entrare in partita, tanto che i dragoni hanno raggiunto il bonus in meno di mezz'ora e poi hanno tirato i remi in barca, sfiorando comunque i 50 punti (48-7 il finale). Ma fuori dal campo l'Italia ovale ha vinto al superenalotto, passando dal titolo di Nazionale più perdente del panorama azzurro (quello di ieri è stato il 31° ko consecutivo nel Sei Nazioni), a quello di federazione più fortunata. Perché è difficile trovare nel panorama del nostro sport qualcuno che riesca a firmare un contratto da 40 milioni per i prossimi cinque anni non tanto per meriti propri, ma solo per il fatto di partecipare ad una competizione che in altri paesi muove interessi straordinari, tanto da generare l'acquisto del 14% del torneo (di proprietà delle sei federazioni che lo organizzano) da parte del fondo d'investimento britannico Cvc per una cifra che si aggira sui 350 milioni di euro.
Niente male, insomma, per un movimento come quello del rugby azzurro, che ha avuto l'innegabile merito di guadagnarsi la stima di britannici e francesi grazie ai risultati della nostra Nazionale negli anni Novanta, ma che dall'ingresso nel Sei Nazioni, datato 2000, ha avuto una incredibile involuzione. Risultati tanto deludenti da stimolare ciclicamente qualche osservatore straniero a chiedere di far accomodare l'Italia fuori dal torneo, magari a favore di altre nazionali emergenti. Ma la nostra partecipazione, almeno fino al 2023, è blindata da un contratto che ci lega alle altre cinque sorelle e, onestamente, riteniamo molto difficile che britannici e francesi, anche dopo quella data, possano preferire altre squadre, visto soprattutto lo scarso appeal turistico-economico-commerciale di Georgia o Romania.
Ieri il nostro rugby ha comunque cercato almeno di invertire la rotta, eleggendo alla presidenza federale Marzio Innocenti, grande ex capitano della prima partecipazione azzurra ai Mondiali, con l'arduo compito di spendere nel migliore dei modi questa manna piovuta dal cielo. Oltre a un progetto tecnico azzurro che non decolla da anni, c'è infatti tutto il rugby sottostante che va rianimato. Con il paradosso di un campionato invisibile e di club che sono lontani anni luce dallo sfarzo della Nazionale.
Perché, pur con tutti questi soldi tra le mani, in Italia continuano ad esserci due rugby: quello dei lustrini del Sei Nazioni e quello dei poveretti che vanno in mischia tutte le domeniche e sembrano rimasti al secolo scorso. Anzi, più indietro.
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