«Io marcio» ha detto un giorno, «io marcio per me stesso» ha concluso la frase dopo aver ripreso fiato. Una pausa in mezzo. Come a separare volutamente l'«io marcio» che sa di confessione ed evoca il giallo, i dubbi, lo sporco che ne hanno accompagnato a tratti la carriera, dall'«io marcio per me stesso» che rappresenta invece l'amore con cui ha comunque affrontato quella carriera. Anche se l'amore, si sa, talvolta distrugge.
Alex Schwazer è questo. È una frase spezzata in due come la sua vita agonistica e non solo agonistica. Prima l'oro olimpico di Rio e la gloria, poi la vergogna grande e la confessione di Londra 2012. Prima la vita da reietto dello sport seguita alla squalifica, poi il ritorno vincente del 2016 alla vigilia dei Giochi di Rio accudito dal professor Sandro Donati, simbolo della lotta al doping e diventato per Alex patente e certificato di pulizia. Prima la vittoria al rientro, seguita da redenzione e applausi, poi il nuovo sprofondo alla vigilia delle olimpiadi brasiliane. E ancora: prima la nuova squalifica a otto anni e la fine della carriera, poi la voglia di vederci chiaro, i dubbi su quel controllo delle urine effettuato dagli ispettori su incarico Iaaf e deciso proprio nel giorno in cui l'atleta aveva testimoniato contro un medico della Federazione internazionale. Una provetta rimasta troppe ore in mano agli ispettori prima di arrivare al laboratorio di Colonia e mai veramente anonima come invece dovrebbe, fecero subito notare i difensori di Schwazer. Un campione di urina che al primo controllo era risultato a posto e al secondo con una concentrazione di valori dopanti talmente minimi da non poter aiutare la prestazione atletica. Un giallo. O Schwazer stupido all'inverosimile da doparsi per non aver alcun beneficio o Schwazer al centro di un qualche complotto. Anche per questo l'atleta, che nel primo caso di doping, a Londra, aveva subito confessato, la seconda volta aveva urlato la propria innocenza chiedendo di vederci chiaro «perché credo che lì dentro ci siano anche le urine di altri» aveva detto, «e allora voglio l'esame del dna, non servirà per la mia carriera ormai finita, ma per il mio onore sì...».
Ed è proprio dell'esame del dna che si è saputo ieri. Ultimo e più importante tentativo di ricomporre i cocci dell'esistenza di questo altotesino di 34 anni. La notizia è stata data dal quotidiano altotesino Tageszeitung e da Nando Sanvito sul il sussidiario.net, giornalista che non ha mai smesso di voler far luce sulla vicenda: «L'esame delle urine ha rivelato che le urine di Alex Schwazer sono state manipolate» ha scritto dopo essere venuto a conoscenza del risultato delle analisi svolte, su richiesta del tribunale di Bolzano, sul campione di urine.
Ovviamente non sono state trovate le tracce di altri dna, ma di quello dello stesso Schwazer in quantità così abnormi da far sospettare il tentativo di nasconderne altri. Il dna col tempo va infatti riducendosi in modo vistoso, per cui è anomalo che nel primo campione, quello negativo, ci fosse un quantitativo inferiore al secondo.
Da qui la decisione del Ris di Parma e del suo comandante Giampietro Lago (anche perito del tribunale di Bolzano) di monitorare il dna separato in due campioni di un centinaio di volontari. Per capire se difformità simili siano possibili. I risultati definitivi a settembre. Per ricominciare di nuovo a ricomporre i cocci di un uomo discusso. O per buttarne via l'ultimo e dimenticarlo per sempre.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.