Maranello. La prima volta di Jean Todt era stata più rumorosa. Aveva litigato con un giornalista della tv che insisteva nel chiamarlo Napoleone. Poi vennero i paragoni con Alvaro Vitali e andò ancora peggio. Quando, dopo qualche anno, cominciò a vincere senza fermarsi più, Jean Todt andò ben oltre Napoleone. Per Fred Vasseur il paragone potrebbe essere anche scomodo, ma in realtà la sua poltrona è già scomoda così, senza fare i conti con un passato ormai lontano. Il nuovo Team Principal ferrarista si presenta con due parole due in italiano «Buongiorno a tutti, scusate parlo poco italiano, studio tutti i giorni. Meglio se passiamo all'inglese». Le sue sono giornate di studio. Dalle 7 alle 8 studia l'italiano, dalle 8 a notte studia la Ferrari. «Dormo bene, ma le notti ora sono più brevi», scherza. È un uomo a cui piace fare la battuta, cercare la risata di chi gli sta davanti, ma anche un uomo che sa essere terribilmente concreto e pragmatico. Sa di essere arrivato in un posto particolare, di essere nella Chiesa dello sport automobilistico, dove l'entusiasmo è mega come la pressione. Non gioca a nascondino, ma dice chiaramente di avere un solo obbiettivo: il titolo mondiale. «Arrivare in Ferrari non è aver raggiunto un obbiettivo. Il mio obbiettivo è vincere con la Ferrari. Abbiamo un target chiaro: dobbiamo vincere il campionato e non dobbiamo essere timidi nel nasconderlo. Il mio compito è questo, questo è quello che mi hanno chiesto John (il presidente Elkann, ndr) e Benedetto (l'ad Vigna). Che cosa non abbia funzionato lo scorso anno lo sappiamo, la mancanza di affidabilità e poi la mancanza di prestazioni rispetto agli altri sul finale di stagione. Perché sia successo lo stiamo ancora valutando. Il mio compito è di capire che cosa non andava e come farlo funzionare. Ma sarei arrogante se vi dicessi che dopo meno di venti giorni qui l'ho già capito». La grande discontinuità rispetto al passato sta in poche parole: «Il nostro obbiettivo è vincere. In Ferrari non può essere diverso». Lo dice senza timidezza. Può farlo perché la Ferrari di oggi non è quella di Todt che ci mise sei anni per vincere, né quella di Binotto. «Conoscevo la Ferrari perché la frequentavo dall'inizio degli anni Duemila come cliente, ma quando ho fatto il giro della fabbrica sono rimasto impressionato da quello che abbiamo a nostra disposizione. Però non ho mai detto che la Ferrari è perfetta, altrimenti vincerebbe tutti gli anni». E lui non sarebbe qui. «Sarei arrogante se fossi io a dirvi perché la Ferrari mi ritiene l'uomo giusto. Dovete chiederlo a John. Tutti all'interno del team fanno il loro lavoro meglio di quanto potrei farlo io, non sono un aerodinamico, un meccanico, non sono il chief designer, ma il mio compito è di metterli nelle condizioni migliori per fare il loro lavoro. Molte volte nella mia carriera ho avuto successo, e dopo 32 anni in pista credo di aver capito che cosa serva per far funzionare un team».
La Ferrari di Vasseur, almeno all'inizio, non avrà un numero 1 e un numero 2: «Il nostro obbiettivo è vincere non vincere con Charles (ieri 123 giri a Fiorano sotto i suoi occhi) o Carlos. Dobbiamo solo vincere. La mia politica in questo senso è cristallina: spingeremo con tutti e due i piloti all'inizio poi ad un certo punto della stagione spingeremo più su uno che sull'altro se la situazione sarà chiara, ma non abbiamo un numero uno e un numero due. Il numero uno è la Ferrari». È la risposa che ci aspettavamo. Nessuno avrebbe mai detto alla vigilia: puntiamo tutto su Charles, anche se poi finirà così. Vasseur sa giocare con le parole. E sa dove intervenire. Non farà il direttore tecnico, lascerà spazio a Cardile, ma certamente metterà mano alla strategia: «Devo capire che cosa non funzionasse.
Il problema non è chi spinge il bottone, ma chi lavora dietro». I dati del simulatore sono incoraggianti, ma lui preferisce aspettare la pista, vedere dove sono gli altri. Tanto sa di avere un solo obbiettivo: vincere. E farlo subito. Auguri.
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