Gentile Direttore, ho letto con sorpresa l’articolo di Francesco Forte dal titolo «Il salotto vuole la patrimoniale ». I casi sono due, o Forte si è distratto o non ha letto la mia intervista sul Corriere della Sera . Ho sostenuto che la manovra è sbagliata in primo luogo in quanto «prima di mettere mano nelle tasche dei cittadini andava accelerato il processo di dismissione del patrimonio e delle società pubbliche. Nel rimettere a posto le finanze lo Stato deve assumersi l’80% dell’onere, vendendo, dismettendo, tagliando solo allora si potrà chiedere ai cittadini di mettere l’altro 20%. Da tanti anni a questa parte succede invece esattamente l’opposto.
Riducendo questo pensiero a slogan direi: prima vendete la Rai, poi venite a chiedere soldi». Questo è il cuore del mio pensiero. La rivoluzione liberale è fallita perché non è riuscita a riportare lo Stato nel suo giusto alveo, riducendo il perimetro della sua presenza che moltiplica sprechi, iniquità e corruzione. L’eccesso di tassazione è la conseguenza di ciò, e quando vediamo la qualità dei servizi che dovrebbero rappresentare il core business dello Stato peggiorare ogni giorno, non sappiamo più come rispondere ad una semplice domanda: «Dove vanno a finire i nostri soldi?!».
Commentando il vergognoso balzello chiamato «contributo di solidarietà » ho detto che è uno scandalo perché colpisce chi di tasse ne paga già troppe, persone che ben difficilmente possono essere considerate ricche quando portano a casa 4.000 euro netti al mese. Alla domanda del cronista «ma il governo che strade aveva davanti », ho poi risposto «vendere, dismettere, e se non fosse stato sufficiente chiedere un contributo di solidarietà a chi se lo può davvero permettere». A questo proposito ho fatto l’esempio mio e di Berlusconi, riferendomi a fortune sopra i 5/10 milioni di euro. Il messaggio mi sembra chiaro, fate dimagrire seriamente lo Stato e poi, se non bastasse, chiedete a chi ha veramente di più, una tesi peraltro sostenuta dal mio amico Vittorio Feltri in un ottimo editoriale di qualche giorno fa.
Forte sostiene che questa imposta sulle grandi fortune è«un provvedimento inutile e un’idea da dilettante fiscale: colpirebbe il risparmio del ceto medio». Ciò che Forte non spiega, però, è in che modo una persona che ha 5/10 milioni di euro di patrimonio sia più ceto medio di una persona che guadagna 4.000 euro netti al mese. Mi pare che il confine tra ceto medio e ricchezza si sposti a seconda delle necessità dialettiche del vostro commentatore. Questa manovra è debole e iniqua. Debole perché non affronta in maniera adeguata i nodi strutturali come pensioni, liberalizzazioni, privatizzazioni e tagli ai costi della politica ( qualcuno si sente di scommettere sulla concretezza dei tagli a 50.000 poltrone da farsi in un prossimo futuro?); iniqua perché impone a 500.000 persone di pagare più del 50% di tasse, un livello indegno di un Paese civile. Un soglia che lo stesso Berlusconi nel 2008, sbagliando, definì il confine oltre il quale l’evasione è giustificata.
Comprendo e apprezzo il vostro sforzo di sostenere il governo in un momento difficile. Per farlo non è però necessario travisare il pensiero altrui.
Ps: nella mia intervista al Corriere ho dimenticato di rendere merito al ministro Sacconi per la parte del provvedimento che riguarda la contrattazione aziendale. Un passo avanti fondamentale verso la modernizzazione del nostro sistema economico. Lo faccio ora, scusandomi della dimenticanza.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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