Lo Stato faccia la Patria, ma non si metta a fare anche la "Matria". Il governo che infila le code della canottiera di lana nelle mutande del cittadino, non sia mai che prenda freddo, sembra una di quelle mamme che rincalza le coperte del figlio anche a Ferragosto. E di mamma, si sa, ce n'è una sola. L'idea che i vizi, se nocivi (ed è dura trovare un vizio che non lo sia), debbano essere tassati non è certo un progetto strampalato del neoministro della salute Renato Balduzzi. Dagli Stati Uniti alla Danimarca, passando per i nostri vicini di casa francesi, le bevande alcoliche, quelle gassate e i cibi ipercalorici sono passati sotto la mannaia dello Stato: mortificati da bollini che sembrano manifesti funebri, aumentati nel prezzo, sistemati in particolari comparti dei negozi come se fossero vere e proprie armi improprie. E anche la qualifica di "junk food" è piuttosto oscura. Anche se la traduciamo in italiano non caviamo un ragno dal buco: quali sarebbero i cibi spazzatura? I panini del fast food? O anche, per dire, le prelibatezze ipercaloriche della cucina siciliana? Che non sono certo "monnezza" ma gravano come macigni sulla pancia dei commensali. Non si può misurare la virtuosità del cittadino sulle tacche della sua cintura dei pantaloni. La stessa cintura che inganniamo tutte le mattine per rubarle un centimetro di soddisfazione.
Lo scopo, come nella margiorparte dei casi, è nobile ma l'effetto è claustrofobico: il cittadino si sente schiacciato dalla grande mano della Matria statale. Non bastavano le mani nelle tasche, ora ce le vogliono mettere anche nel frigorifero. Hanno bacchettato chi galleggia su dieci metri di barca e chi si sposta in Porsche, ma un bicchierino di grappa non è un lusso.
Si può impedire a qualcuno di mangiare una cioccolata, un hamburger o un kebab? Certo, ma lo può fare la coscienza incrostata dagli stravizi, una moglie imbufalita per una maniglia dell'amore che si è trasformata in un maniglione come quelli sulle porte antincendio o un medico di fronte alle analisi del sangue. Lo Stato no, specialmente se pensa di dissuadere il cittadino goloso, e magari pure un po' vizioso, con lo strumento della pressione fiscale.
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