«Stiamo uscendo dalla crisi ma non dobbiamo fermarci»

A stento era riuscito a trattenersi. Poi quando ha preso la parola Gianni Letta, non ce l’ha fatta: Andrea Mondello, nel giorno dell’ultima sua uscita da presidente della Camera di Commercio capitolina, si è commosso. In modo discreto, impercettibile ai più. Ma si è commosso. «Letta ha toccato le corde dei sentimenti e mi ha lasciato senza parole. Mi auguro di aver realizzato davvero tutte le cose che ha ricordato. Di sicuro è stato il più bel regalo che mi si potesse fare».
Ieri si è chiuso un ciclo. Un’epoca, quasi.
«Sono stati anni lunghi, belli, laboriosi».
Diciotto. Tanti. Com’è cambiata Roma, sotto i suoi occhi?
«Gli anni Ottanta e Novanta sono stati quelli dei veti, di una città bloccata. Di un “nobile declino”, per rubare le parole all’economista Paolo Leon. Fino a quando le forze imprenditoriali e le anime creative hanno capito che c’era solo un modo per uscirne: passare dalla protesta alla proposta».
Gli effetti?
«Cresciamo con consistente rapidità. La situazione è ancora difficile, ma migliore del resto del Paese. Non dobbiamo fermarci, non lo faremo».
Quale contributo ha dato a questo processo l’elezione di Gianni Alemanno?
«Parto da un assioma: non giudico la politica. Premesso ciò, i primi due anni di mandato, per un sindaco, servono di regola a raccogliere le informazioni. A Roma, inoltre, a capire chi sono i soggetti, gli interlocutori giusti. Ora viene il bello, inizia la fase realizzativa, che a mio avviso dovrebbe procedere lungo alcune direttrici precise».
Quali?
«La cultura, per esempio. E in questo la capitale è avvantaggiata perché ha un assessore pieno di doti, Croppi. Bisogna incentivare il turismo di qualità: non conta quanti turisti vengono da noi, ma chi sono e quanto a lungo restano. E dare parecchia enfasi al marketing territoriale, per attrarre le imprese multinazionali. Non possiamo competere con il costo della manodopera dell’Estremo Oriente, nessuno lo nega, ma l’unicità del contesto romano è uno straordinario asso nella manica».
E ora, in più, c’è quell’enorme magnete che di nome fa Olimpiadi.
«Questa tesi, in verità, la vado predicando da quando ci candidammo per il 2004. E credo ancora di più nel 2020. Oltre ai mezzi, alle capacità, c’è una forte valenza simbolica di cui pochi parlano: sarà il centocinquantenario di Roma capitale. Insomma, è giusto che ci sia uno sforzo massimo da parte di tutti».
Un volano, in questo processo, potrebbe essere rappresentato dalla contiguità politica tra Alemanno e Polverini, tra Comune e Regione.
«Personalmente non vedo un rapporto di causalità necessaria. Mi sono trovato di fronte ad amministrazioni di colore diverso che hanno funzionato bene, altre di colore uguale che hanno funzionato meno bene. Dipende semplicemente dalla volontà e dalla capacità di collaborare».
Durante il suo intervento di saluto ha insistito a lungo sul concetto di mobilità.
«Non solo nell’accezione classica che riguarda le merci e gli uomini, però. Ai primi posti vanno messe anche le informazioni. Credo molto nei nuovi media, nella loro capacità di raccogliere i bisogni dal basso e trasportarli verso l’alto, di trasformarli in proposte. Ho creato un sito web allo scopo, culturaecambiamento.it, e spero in un forte contributo da parte dei giovani».
Sulla home page scrive: «Siamo andati avanti tenendo gli occhi fissi sullo specchietto retrovisore».
«Ci sono troppi tappi, in giro. Le gerarchie, le caste, le rendite di posizione, la mancanza di merito. Voglio provare a cambiare la situazione. Se ci fidiamo di un medico, è perché è bravo, non perché è famoso».
Insomma, cosa farà ora che non è più presidente della Camera di Commercio?
«Farò l’imprenditore, ma non in maniera tradizionale. Ritengo di avere ricevuto moltissimo dalla mia città. E devo cercare, finché ho forza, energie e risorse, di contribuire alla crescita del territorio. C’è un nuovo progetto a cui sto lavorando e che lancerò a breve».
Previsioni sul suo successore?
«Non so cosa potrà accadere. Credo però che l’ipotesi più preoccupante sia il commissariamento. Sarebbe un peccato mortale per una struttura che ha una tale valenza economica per la città, una tale vitalità. E non mi piace quando sento parlare di unanimità: bisogna raggiungere una maggioranza che consenta la governabilità. Ma non è ancora questo il punto centrale».


Qual è, allora?
«La politica deve restare distante, così come lo è stata in questi 18 anni della mia presidenza. Gli imprenditori, mi sarà consentita la battuta, devono essere in condizione di sbagliare da soli».

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