Storia universale dei casti, dai monaci ai sacerdoti vudu

Forse ha messo troppe cose insieme, Elizabeth Abbott, in questa sua Storia della castità (Mondadori, pagg. 518, euro 25, traduzione di Carmen Covito). Quando, neppure due anni fa, ci occupammo in queste pagine della sua Storia delle altre, che l’editore italiano scelse evidentemente di pubblicare per prima pur venendo dopo quella della castità, ci corse l’obbligo di dire che, per quanto si trattasse di un testo informato, insieme brioso e definitorio di tutte le debite categorie di «concubine, amanti, mantenute, amiche», esso soffriva di una rigidità concettuale che non si meritava. Perché infatti la vita è troppo complessa per essere schematizzata e inscatolata come in una rubrica femminile. In questa Storia della castità, scritto dopo lunghe e laboriose ricerche e pubblicato nel 2000, in un periodo in cui l’autrice, docente di storia della condizione femminile al Trinity College di Toronto, oltre a ricorrere alla sua usuale sistemazione categoriale, mette troppa carne al fuoco.
È vero, l’argomento della castità è vasto, va affrontato sistematicamente, e il fatto che sia tema tornato di moda in questi tempi induce forse a riflessioni che da quella moda non siano influenzate. La fine del millennio ha portato la più dura sfida mai vista al concetto di sessualità nel mondo occidentale, e ha prodotto la forma di castità al tempo dell’Aids. Ma, contemporaneamente alla minaccia di una malattia tanto paventata, hanno preso vita movimenti o forse anche solo atteggiamenti di vita che paiono reagire a uno sbandierato rampantismo sessuale. L’autrice dà conto di movimenti che oggi assumono varie forme e misure di castità, come il monachesimo new age o come il «True Love Waits», eccetera.
Come stordita ed esaltata dalle tipologie in cui la castità ha «coinvolto l’umanità sempre e ovunque», l’autrice cerca d’inventariarle tutte. Se la castità è alla base del cristianesimo, non è estranea ad altri mondi. Poiché essa favorisce gli stati di coscienza che consentono la comunicazione con gli spiriti, vediamo gli sciamani, i sacerdoti e le sacerdotesse vudu astenersi dal sesso. La castità può far parte della «Missione», come per Giovanna d’Arco ed Elisabetta I d’Inghilterra, ma può essere anche una condizione assunta a un certo punto della vita, come fanno le donne in alcune società segnalando di non essere più disposte ad altre gravidanze.
Nello sterminato regesto, però, le varianti della castità rischiano di debordare. Tutto un capitolo sulla preservazione dello sperma, forza vitale, come forma di castità considerata preziosa dai tempi degli allenatori greci fino al Robert De Niro che impersona Jake La Motta in Toro scatenato pare eccessivo. Allo stesso modo della trattazione dell’anoressia quale equivalente di un annientamento di sé che farebbe tutt’uno con l’indole per la castità. E paiono poco sostenibili anche certe semplificazioni, e l’inclusione nella pratica della castità da parte di chi è a disagio o in conflitto con la propria identità sessuale, gli «omosessuali» come Leonardo da Vinci, i «pedofili» come Lewis Carroll, gli «eccentrici» come John Ruskin.


Quanto a John Milton, benché da giovane fosse stato segnato da una casta storia d’amore con Charles Diodati, la sua presunta aspirazione alla castità pare smentita dal fatto che, non più giovane, si prese in moglie la diciassettenne Mary; che, quando dopo poche settimane Mary scappò dai suoi, Milton si mise a corteggiare una misteriosa Miss Davis; che, convinto dagli amici di riconciliarsi con la moglie, ebbe da lei due figli, prima di morire essa stessa a ventisette anni al parto del terzo; che nel 1656 sposò Katherine, morta due anni dopo insieme al bambino che gli aveva dato; che nel ’63 fu indotto a sposarsi di nuovo con la giovane Elizabeth mentre, già quasi ceco, lottava per finire il Paradiso perduto.

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