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Parigi L'ultima sfilata di Jean Paul Gaultier comincia con due bellissimi funerali. Il primo è una scena dell'iconico film di William Klein Qui étez-vous Polly Maggoo proiettata sullo sfondo del gigantesco palcoscenico del Théâtre du Châtelet di Parigi. Il secondo viene interpretato da sei ragazzoni che scendono le scale curvi sotto il peso di una bara in mogano con la riproduzione in acciaio degli iperbolici seni a punta di Madonna nella famosa guêpière che Gaultier creò nel 1990 per il suo Blond Ambition Tour. Lei purtroppo non c'è, un'assenza ingiustificabile visto che tra i 1800 invitati in sala e i 258 tra modelli, modelle e artisti in palcoscenico ci sono proprio tutti. Poco lontano da noi c'è per esempio Kenzo Takada che si butta via dal ridere quando i sei finti becchini si mettono a ballare con la bara sulle spalle mentre Boy George intona dal vivo Back to black di Amy Winehouse. La scena è esilarante soprattutto perché nei primi anni Ottanta il mondo della moda era proprio così: vestito di nero dalla testa ai piedi e sempre pronto a ballare. «Passavamo le notti in pista al Bain Douche e la mattina alle nove eravamo tutte alla prima sfilata» ricorda una giornalista televisiva francese, tostissima e bravissima nel suo lavoro oltre che grande amica di Gaultier.
È lei a ricordarci che ha fondato la sua maison nel 1976 in società con un amico d'infanzia Donald Potard. Lavorava già da sei anni perché il 24 aprile del 1970, giorno del suo diciassettesimo compleanno, venne assunto come apprendista da Pierre Cardin. «Ho dovuto farmi accompagnare da mia madre perché ero minorenne» ci raccontò lui nella prima di tante interviste. In quella stessa occasione confessò di aver cominciato a far sfilate fin dai tempi dell'asilo, quando ritagliava i giornali di moda che trovava in casa per trasformare quelle bamboline di carta in modelle. Ad alimentare la sua passione per vestiti e figurini fu anche la nonna che lo portò a vedere Falbalas, un film del 1945 ispirato dalla figura di Jacques Fath. Cardin ama raccontare che il suo giovanissimo apprendista gli fu rubato dopo appena un anno da Jean Patou, uno degli ultimi grandi maestri della couture. Pensiamo a tutto questo mentre il funerale più pazzo del mondo finisce sotto i nostri occhi e in passerella si rivedono capi pazzeschi come il tubino fatto da innumerevoli guanti bianchi, la gonna di calze e il panciotto da frac in cravatte.
La prima top di altri tempi a sfilare per l'amico Jean Paul è Farida Khelfa, splendida a quasi 60 anni con un fulminante paio di pantaloni a vita alta neri e il fantasma di una camicia bianca appoggiato sul corpo. Poi compare Dita Von Teese con un bustier fatto di cinture color carne in satin. È ancora bella da perdere il fiato e non è la sola: Yasmin Le Bon con la veletta sul viso dà svariati punti alle sorelle Gigi e Bella Hadid in jeans, per non parlare di Amanda Lear che a 80 anni suonati si concede il lusso di sfilare con un pullover di paillettes rosse e basta. La musa di Salvador Dalì scende le scale in braccio a due boys e sembra non sia passato un giorno da quando gorgheggiava con la sua voce baritonale Voulez-vous une rendez vous tomorrow. Per contro ad altri il tempo ha lasciato addosso svariati chili in più ma chissenefrega quando sei una grande attrice come Beatrice Dalle, l'unica francese amata da Abel Ferrara. Il discorso vale anche per Tanel modello-feticcio di Gaultier che per primo ha sposato la causa del no gender in passerella. Poi c'è Rossy De Palma che è stata la musa di Almodovar, un regista per cui Jean Paul ha vestito due film: La Mala educacion e Kika un corpo in prestito. Tra le collaborazioni cinematografiche ci sono state anche Il Quinto elemento di Luc Besson e Il cuoco, il ladro sua moglie e l'amante di Peter Greenway. Ha pure inciso un disco intitolato How to do That, ha trasformato la Fondation Cartier in una panetteria per quattro indimenticabili mesi, è stato il braccio destro della grande coreografa Regine Chopinot e nel 1992 ha fatto una sfilata a lume di candela sulla cultura degli Hassidim che ha lo stesso valore nella lotta all'antisemitismo di una visita al museo dell'ebraismo di Berlino. «Voglio fermarmi un giorno prima di fare brutte cose» ci ha detto qualche tempo fa.
Nelle note di questa straordinaria collezione fatta rieditando capi d'archivio e riciclando rimanenze d'ogni tipo ha scritto: «Quando non ce n'è più ce n'è ancora». Forse il suo futuro è proprio la moda sostenibile che ricicla e recupera. Intanto però grazie di essere l'unico genio sorridente in un mondo che si prende troppo sul serio.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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