Tabaccaio ucciso, la protesta al funerale «Troppi killer liberi»

da Torino

Alle 11 Torino si ferma. Passa il feretro di Claudio Monetti, il tabaccaio ammazzato sabato sera da due balordi, quattro coltellate alle 20 davanti al suo negozio in corso Orbassano mentre stava depositando l'incasso della giornata, nella cassa continua della Banca Sella: 12mila euro. Un attimo. Cinque giorni dopo i negozi hanno abbassato le serrande in segno di lutto. Il clima di sospensione dentro e fuori la chiesta di Santa Rita, si rompe con grida di rabbia e dolore dei parenti. Non giustizia, ma vendetta. «Vendetta e non giustizia», chiedono rivolgendosi al sindaco, Sergio Chiamparino presente al funerale con la fascia tricolore, dicono «tutta colpa tua e dei tuoi amici dell'indulto». Frasi che non passano inosservate e che qualcuno cerca perfino di zittire con un gesto del dito indice sulla bocca, come dire «muto non parlare». C'è rabbia perché più del dolore, è il ricordo che fa male. Il ricordo di quelle frasi pronunciate mesi addietro da Chiamparino: «Questione di percezione, Torino non è violenta, non è il Bronx. Creare allarmismo è perfino più grave della violenza stessa».
Ma quelle parole adesso sono scolpite nella memoria. Gliele rinfacciano una per una. «Se fosse stato così, Claudio sarebbe ancora vivo». La voce si leva dal basso, è quella di un bimbo che tiene per mano il nonno. Il bimbo non piange, il nonno sì. Claudio è morto. E in tanti hanno voluto testimoniargli affetto, per l'ultima volta. Sulla cancellata della chiesa un lungo striscione, un lenzuolo con la scritta «Ciao Claudio» e vicino un grosso cuore con una rosa bianca, uno striscione portato dagli amici per salutare Claudio e stringersi attorno alla famiglia.

Quando il feretro attraversa il piazzale, un lungo applauso spegne per un attimo le polemiche. Polemiche che anche il sindaco ha cercato di soffocare, qualche ora dopo il funerale con una velina. Proprio così, una velina del suo ufficio stampa per dire «che non c'era stata contestazione».

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