Altro che Telemeloni. L'impressione è che stavolta sia stata semplicemente rispettata la ragione sociale della Rai fondata sui principi della Costituzione italiana e della Direttiva Tv 1989 dell'Unione europea. Per dirla in poche parole, il servizio pubblico deve parlare a tutti con le voci di tutti. Nuovi palinsesti, nuova regola, che è quella basilare di ogni media pubblico: rappresentare tutti gli utenti. Il dg Giampaolo Rossi e l'ad Roberto Sergio, che è esuberante e inarrestabile ma ha una decisa e benefica vocazione al compromesso, hanno velocemente firmato un palinsesto finalmente ragionevole che sia rappresentativo di tutto, anche di ciò che non rientra nei gusti del radical chicchismo oppure non si attiene alle linee guida e ai personaggi benedetti dal politicamente corretto più sterile e peloso. Chi paga il canone non ha canoni o, se li ha, coprono necessariamente tutto l'arco costituzionale, non solo la parte sinistra. Come si legge qui di fianco nell'articolo di Laura Rio, nel nuovo assetto dei programmi Rai, non ci sono stati stravolgimenti epocali, non sono stati abbattuti muri portanti, non si sono zittite voci, anzi, Saviano (che si lamenta della mancanza di libertà) ha un prime time su Raitre. Si è fatto un palinsesto il più possibile rispettoso di quella curiosa invenzione del secolo scorso che è il telespettatore pagante (il canone) e votante (tutti i partiti, non solo due o tre). Certo, farà comodo sfruttare qualche nome come «piede di porco» (absit iniura verbis) per sollevare le saracinesche delle polemiche politiche. Il tale va in quel programma. La tale mandata via da quell'altro. La Rai okkupata dalla destra. Eccetera eccetera. Per carità, ci sta, è un rituale anche divertente che oggi, specialmente sui social, paga assai. La realtà però è un'altra ed è quella che conta. Le prime avvisaglie della nuova Rai sono rispettose della lezione di quella Rai che ha fatto storia prima di Telekabul e della ostinata deriva partitica.
Qui c'è una nuova narrazione (termine orrendo che però va di moda) che è metapartitica, va al di là dei partiti e che, nella sua pars construens, mette le basi di un ritorno al futuro. Il ritorno è quello alla cosiddetta coralità del telespettatore. E il futuro è quello di una tv pubblica che sia davvero pubblica e non parziale come piace alla gente che piace.
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