Il tempo corre? Solo da anziani. Ora lo conferma anche la scienza

Tutta colpa delle immagini: i giovani ne visualizzano di più e così frenano

Il tempo corre? Solo da anziani. Ora lo conferma anche la scienza

Il tempo fugge, è relativo. Scorre, ci trascina, si muove sempre in avanti, vola. Da piccoli, però, il tempo sembrava più lento. Pensiamo al Natale e a quel regalo atteso con ansia che ci sembrava non arrivare mai. Le ore, poi, erano lunghissime. La sensazione che il tempo inizi ad accelerare mentre invecchiamo è un mistero della percezione umana. Il sogno dell'uomo è quello di fermare le lancette dell'orologio; la paura di non avere tempo, di non riuscire a immaginare il futuro, ci sconvolge. Il tempo, del resto, è più prezioso del denaro. E allora ci siamo inventati universi immaginari dove possiamo salire su macchine e viaggiare a ritroso su quella linea che, per ora, va solo avanti. Ma perché il tempo passa lentamente quando siamo giovani e accelera quando siamo più anziani? Il filosofo francese Paul Janet, nella sua teoria elaborata a fine Ottocento, aveva derivato che il tempo, in un dato momento dell'esistenza, viene percepito in maniera proporzionale alla lunghezza totale della nostra vita fino al dato momento: crescendo, un anno è sempre più piccolo rispetto agli anni vissuti; per un bambino di 5 anni, un anno è un quinto dell'intera esistenza. Ora un professore della Duke University ha una nuova teoria: la discrepanza temporale tra infanzia e vecchiaia e il diverso modo di percepire il tempo potrebbe essere attribuita alla lentezza o alla velocità con cui le immagini vengono elaborate e ottenute dal cervello umano. Questa teoria, pubblicata il 18 marzo sulla European Review della Cambridge University Press, è stata elaborata da Adrian Bejan, professore di ingegneria meccanica della Duke che ha studiato al MIT. Secondo Bejan la percezione del tempo ha a che fare con i cambiamenti negli stimoli mentali. «Il periodo giorno-notte dura 24 ore su tutti gli orologi, gli orologi da parete e i campanili. Tuttavia, il tempo fisico non è il tempo della mente. Il tempo che percepisci non è uguale al tempo percepito da un altro», dice Bejan. Tutto dipende dal modo in cui percepiamo le immagini. «Le persone spesso rimangono stupite di quanto ricordano dei giorni della loro giovinezza», ha affermato Bejan. E «non è che le esperienze fossero più profonde o più significative». Da giovani i giorni sembrano durare più a lungo perché la mente giovane riceve più immagini durante uno stesso giorno. E, dato che le persone anziane visualizzano meno immagini nuove nella stessa quantità di tempo, può sembrare loro che il tempo passi più velocemente. Gli occhi delle persone più giovani si muovono di più, acquisendo e integrando più informazioni. Bejan attribuisce questo fenomeno ai cambiamenti fisici che mutano con gli anni, come la visione, la complessità del cervello e «la degradazione dei percorsi che trasmettono le informazioni».

Quando le reti aggrovigliate di nervi e neuroni maturano, diventano più ampie e complesse, generando percorsi che, per i segnali elettrici, sono più lunghi da attraversare e che si degradano con il tempo, opponendo più resistenza al passaggio dei segnali elettrici. E questo cambiamento nell'elaborazione delle immagini porta ad accelerare il senso del tempo. Torniamo indietro?

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