Ma siamo proprio certi che la pubblicazione delle email segrete sia l’11 settembre della diplomazia americana? Gli scoop di Wikileaks provocheranno, piuttosto, tante esplosioni in giro per il mondo. Ma circoscritte. E non sempre imbarazzanti. Alcune potrebbero risultare addirittura funzionali agli interessi strategici di Washington.
Seppur con qualche disagio, grazie a queste email, la Casa Bianca lancia messaggi precisi ai principali interlocutori in giro per il mondo.
I più delicati riguardano l’Onu. Ora sappiamo che i diplomatici americani al Palazzo di Vetro sono stati incaricati di spiare le Nazioni Uniti e alcuni suoi personaggi chiave, come il segretario generale Ban Ki Moon e gli ambasciatori di ben 38 Paesi. Sorprende, soprattutto, che la missione sia stata affidata ai diplomatici di ruolo, anziché, come accade di solito, ai servizi segreti; il che rischia di erodere la credibilità di gran parte del personale statunitense all’Onu, costringendolo a una faticosa opera per ricucire rapporti e recuperare un minimo di credibilità. Insomma, un incidente diplomatico, ma non gravissimo, visto che lo spionaggio di cui erano stati incaricati era classificato come blando.
Più problematiche potrebbero essere le conseguenze in Pakistan degli scoop di Wikileaks. Gli Usa hanno tentato azioni segrete per rimuovere da un reattore nucleare dell’uranio altamente arricchito, nel timore che potesse essere utilizzato per fabbricare un ordigno illecito. Dunque l’America non si fida del regime di Islamabad e non esita a violarne la sovranità. Come reagirà il governo di un Paese amico? Lo scoop potrebbe inasprire relazioni che da tempo sono tese o, forse, sortire l’effetto opposto; quello di far capire al governo pakistano che Washington non tollera più il doppio gioco con Al Qaida e talebani e che in futuro potrebbe decidere di privare questo delle bombe atomiche.
Obama dovrà sorridere molto in Europa. Ora conosciamo i commenti americani sulla vita privata del Cavaliere, peraltro prevedibili, mentre sorprendente è il giudizio su Sarkozy, che molti consideravano filoamericano; e invece il presidente francese non è molto stimato a Washington, che lo accusa di ostacolare la propria politica estera. Scopriamo che al governo sloveno è stato proposto di accettare un prigioniero di Guantanamo in cambio di un incontro con Barack Obama; con uno spirito degno più di una Repubblica delle banane che di una grande potenza, la quale proprio su Guantanamo vede erodersi la sua credibilità. Ha offerto un pacco di milioni alle isole Kiribati per convincerle a ospitare detenuti accusati di essere membri di Al Qaida. Non bastava far valere il proprio peso diplomatico?
Ma la vera novità di queste email riguarda l’Iran. Il messaggio è in netta contraddizione con la linea sostenuta finora da Washington, che da circa due anni insiste sulla via del dialogo. Ma leggendo le email il quadro cambia. L’America punta davvero su questa opzione? O meglio: fino a quando Obama resisterà alle pressioni degli alleati per risolvere con la forza il braccio di ferro con gli Ayatollah? L’ipotesi di un raid o di una guerra raid torna prepotentemente in primo piano. Su pressione di Israele. E non certo una sorpresa. Nel giugno del 2009 il ministro della Difesa di Gerusalemme Ehud Barak stimò che restavano «fra 12 o 18 mesi» per impedire all’Iran di arrivare all’atomica. Ora però apprendiamo che anche l’Arabia saudita chiede a Washington di «tagliare la testa al serpente», come ha dichiarato il re Abdallah. Che Riad temesse l’influenza iraniana nella regione era noto, ma un pronunciamento così marcato rappresenta un inedito che non passerà certo inosservato nella regione. Tanto più che la Corea del Nord avrebbe fornito all’Iran missili in grado di colpire l’Europa.
Gli indizi sono chiari: l’America sta perdendo la pazienza con Ahmadinejahd. È questa la novità più significativa emersa da Wikileaks. Più che con l’11 settembre, l’analogia è con la guerra di liberazione in Iraq.
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