Turchia, sotto inchiesta anche i funerali di Dink

da Istanbul

Adesso se erano veramente tutti armeni o no lo deciderà il giudice. Hrant Dink, il giornalista ucciso da un giovane ultranazionalista, è morto e sepolto da oltre un mese, ma il suo omicidio continua a far discutere e tremare la Turchia. Dopo le clamorose rivelazioni delle indagini, dopo che la sua famiglia ha appreso dai media che l’omicidio poteva essere evitato e nessuno ha fatto nulla per impedirlo, dopo che il tribunale di Sisli ha riaperto un processo contro Dink, nonostante l’imputato fosse morto, adesso è arrivata la ciliegina sulla torta.
Il Tribunale di Sisli, quartiere di Istanbul dove ha sede la rivista Agos che Dink dirigeva da 11 anni, ha dato via a un’inchiesta ai danni degli organizzatori del funerale del giornalista e del sindaco di Sisli, che aveva guidato la manifestazione. La causa è da ricercare negli slogan e negli striscioni che sono comparsi lungo tutto il percorso funebre, lungo otto chilometri e al quale hanno partecipato oltre 100mila persone. «Siamo tutti Hrant Dink, siamo tutti armeni», dicevano quei cartelli. Parole di pace, per esprimere solidarietà alla famiglia, distrutta dal dolore. Una marea umana di turchi, armeni, musulmani, cristiani e ortodossi aveva seguito civilmente quella bara coperta di rose bianche per tutta la mattina. Non una scena di violenza, non un contatto con la polizia, non un momento di tensione. Solo quegli slogan e quei cartelli.
Peccato che, per il Tribunale di Sinop, con quelle parole organizzatori e manifestanti hanno insultato la nazione turca. Ancora una volta il Mar Nero si conferma culla del nazionalismo esasperato. Dopo Trebisonda, che ormai rimarrà famosa solo per aver dato i natali agli assassini di Hrant Dink e Don Andrea Santoro, dopo Samsun, dove il killer del giornalista, al momento dell’arresto, è stato trattato come un eroe dalla polizia, adesso arriva anche Sinop a ribadire che la zona del Mar Nero è oscura e non solo per la denominazione geografica. Mete Cagdas, giornalista di un quotidiano locale vicino agli ambienti ultranazionalisti, ha chiesto al Tribunale di Sinop di intervenire legalmente. Ma, per questioni di compentenza territoriale, il caso è passato a quello di Sisli. Sembra che, prima di procedere, Sinop abbia chiesto l’autorizzazione al ministro dell’Interno Abdulkadir Aksu, per cui le polemiche sembrano proprio non voler finire.
Cagdas, in particolare ha parlato di «razzismo», da parte di partecipanti e organizzatori, nei confronti della nazione turca. Nell’occhio del ciclone anche uno striscione sul quale era scritto: «L’assassino di Dink è l’articolo 301», ossia la norma che punisce l’offesa all’identità nazionale, con evidente riferimento alla lunga vicenda giudiziaria che ha tormentato il giornalista fino al suo assassinio.
Adesso la parola spetta agli inquirenti. Dopo questa fase di indagini preliminari, il tribunale di Sisli potrà decidere di chiudere il caso oppure aprire un procedimento penale.

In entrambi i casi, però, dovrà rilasciare una relazione scritta per chiarire la sua opinione sui fatti.
Un brutto colpo per la società civile turca, che proprio con i funerali di Dink aveva recuperato un filo di speranza.

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