Tutta la retorica di «Novecento» trent’anni dopo

Ruggero Guarini

Il programma delle feste culturali di regime non conosce pause. Dopo il comicissimo Festival della filosofia al Parco della Musica di Roma, dopo la grottesca assegnazione del premio Strega alla Costituzione del ’46, dopo le ridicole torri erette in tutte le librerie del paese con le copie dell’ultimo parto letterario della camerata Rossanda, la nostra sinistra al caviale si accinge a festeggiare il trentennale di Novecento, il fluviale, patriottico opus magnum di Bernardo Bertoluccci.
Alle celebrazioni dell’evento (che avverranno un po’ dappertutto, ma soprattutto, naturalmente, a Bologna, dove la sera del 30 giugno verrà presentata in pompa magna la copia del film restaurata per l’occasione) vorremmo offrire anche noi un modesto contributo: un còmpito che espleteremo limitandoci a formulare cinque umili quesiti.
1. Visto che Bertolucci, per l’occasione, discorrendo con un suo fan ha confessato che diventò «comunista a otto anni, in un campo di pomodori, quando ascoltando i discorsi di alcune contadine sentì pronunciare per la prima volta la parola “comunismo”», possiamo chiedergli se ritiene che gli studiosi votati alla ricerca delle origini e del senso del suo immaginario poetico e ideologico abbiano adesso il diritto di individuare la causa primordiale della peculiare intensità della sua fede politica nella specialissima emozione che gli procurò l’associazione del suono di quella parola al colore di quelle solanacee?
2. Potranno i giovani d’oggi apprezzare le raffinate scenette in cui Bertolucci, per spiegare che cosa è stato il fascismo, e illustrarne le infamie mediante un personaggio potentemente allegorico, fa spuntare quel meraviglioso burattino del male assoluto che è il gerarca di nome Attila: un sublime mentecatto che ammazza a capocciate gattini crocifissi ai muri delle piazze padane, uccide vecchie svanite impalandole ai cancelli delle ville padronali, sodomizza ghignando le sue donne e soprattutto accoppa i ragazzini fracassandogli la testa contro i muri dopo averli stuprati e costretti a prendere parte alle inique cerimonie erotiche che lui e la sua perfida amante amano escogitare nelle ore d'ozio pomeridiano?
3. Sarà diventato più bello, più epico, più commovente, dopo il restauro, il vasto mare di bandiere rosse che Bertolucci, verso la fine del film, fece sventolare interminabilmente sullo schermo, evitando con cura di infilarci anche un solo soldatino americano o inglese, omissione ovviamente suggerita dalla patriottica esigenza di evitare che qualcuno si permettesse di immaginare che a liberare l’Italia dai nazisti e dai fascisti fossero state le armate angloamericane e non i contadini del podere dei suoi nonni?
4. Visto che a Bertolucci non dispiace ricordare, gongolando, che il conto di tutte quelle bandiere rosse fu pagato, come l’intero film, con soldi hollywoodiani, non crede che oggi sarebbe il caso di ritentare un colpetto analogo affrettandosi a girare, sempre con quattrini hollywoodiani, un bel film antiamericano, nonché vagamente filoislamista?
5.

Quando in un’altra recente intervista egli ha confessato di non coltivare più il gagliardo ottimismo che lo animava negli anni Settanta, intendeva forse alludere alle grandi emozioni che gli procurarono in quegli anni le imprese del partito armato?

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