Quando cade l’acrobata entrano i clown, e quando cadono anche i clown entra Veltroni. Ma chi ha detto che si era ritirato a vita privata, a scrivere sceneggiature sentimentali, a fare lo 007 su Ustica e Pasolini, a rivedere vecchi film in vhs e sfogliare figurine Panini del Campionato ’82-83? No, Walter c’è, yes he can, e si occupa ancora di riforme, he has a dream. Il governo vara una discussa manovra, il suo Pd la contesta in piazza, e lui che fa? Ne ha una, da 100 milioni, pronta nel cassetto. Per rilanciare l’economia italiana? No, il centrattacco della Juve. Una manovrona, una bella finanziaria, con molti punti oscuri però, un po’ in bianco e nero. Ma va detto: la manovra Veltroni metterebbe d’accordo tutti. Le Regioni si lamentano con Tremonti per i tagli ai trasferimenti, mentre Walter - lo ha spiegato benissimo a SkyTg24 - ne ha in mente un sacco, di trasferimenti: Dzeko dal Wolfsburg, Criscito dal Genoa, Motta dalla Roma, Kjaer e Cavani dal Palermo, Galloppa dal Parma, oltre a Pepe, Martinez e Storari. Ed è soltanto perché la crisi impone dei sacrifici che il ministro ombra della Finanze (bianconere) non ha opzionato anche Messi, Milito ed Eto’o.
Già che c’è, mentre lanciava la sua manovra, Walter si è esibito in un altro numero: la sviolinata alla famiglia Agnelli, proprio mentre la sinistra si contorce su Pomigliano. «Sono molto contento che sia arrivato Andrea Agnelli alla guida della Juventus, è un ragazzo di primissimo livello con una grande passione sportiva, un’ispirazione che ha sempre caratterizzato tutta la famiglia. Bisogna dargli tempo e fidarsi delle scelte che farà», ha cinguettato amorosamente all’indirizzo dei «padroni». Non male dall’ex leader dell’ex partito dei lavoratori.
Certo, se Veltroni guida una squadra come ha fatto col Pd, meglio dimenticare i suoi consigli per gli acquisti. Però è il cuore che conta, come sanno bene i lettori di Veltroni, romanziere sconsigliato ai diabetici. E il cuore di Veltroni batte saldamente per la maglia bianconera, fin dal 1961. Era già Veltroni, in miniatura ma lui. «Ero un bambino e non ero né di destra né di sinistra - raccontò poi, rievocando le origini della sua poetica calcistica -. Non c’è un motivo per spiegare il tifo: t’innamori e basta». Per questo motivo «quelli che cambiano squadra in virtù del mestiere che fanno o che scelgono scientificamente da che parte stare, mi spaventano». Ecco, a parte lui, che è riuscito nel miracolo: tifare contemporaneamente Juve e Roma, quand’era sindaco di Roma. Lo stratagemma fu geniale, e poteva venire solo a chi già era riuscito a farsi eleggere leader della Fgci e dirigente del Pci senz’essere mai stato comunista. «Sono juventinista», rivelò Veltroni alla Gazzetta dello Sport, con un colpo da fuoriclasse del ma-anchismo. «Tifo Juve ma ho la Roma nel cuore», argomentò. Il problema, semmai, sarebbe convincere le due tifoserie, che simpaticamente si detestano da secoli. Ma è uno scherzo per uno come Veltroni, abilissimo nel tenere i piedi in due scarpe smerciando l’ambiguità per democratica capacità di dialogo. Del resto era riuscito, lui che parla poco l’inglese, a pubblicare a suo nome una traduzione degli scritti di Bob Kennedy, o ad allegare all’Unità, di cui fu direttore, sia L’ultimo tango a Parigi che i Vangeli, portati personalmente in dono al Papa (sulla religione trovò una formula ma-anchista che non poteva venire in mente a nessun altro, se non a Veltroni: «Credo di non credere»).
«Piace alle gente perché si vede subito che non ha studiato» scrisse perfidamente Micromega. È per questo che il calcio, grande medium popolare, è cifra costante dell’universo simbolico veltroniano. Adesso, che ha appena scritto il testo sull’Heysel, ancora di più. Il mescolamento politica-pallone, sfociato nella manovra da 100milioni, si è manifestato di recente, quando si era messo a citare Mourinho perché «in Italia è impossibile innovare», quando aveva paragonato Cassano a Di Pietro o il governo Berlusconi alla Juve degli anni ’80 (tutte star, sai che originalità). Mancava solo la manovra.
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